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#Intervista: Becchimanzi, “ridere è il mezzo, non il fine”

#Intervista: Chiara Becchimanzi, “ridere è il mezzo, non il fine”

Sul palco da 20 anni tondi tondi, Chiara Becchimanzi si prepara ad affrontare il 2022 con un bel po’ di nuovi progetti artistici che porterà in giro per l’Italia, navigando sempre a vista per la situazione pandemica mondiale.

C’è chi aspetta gli ingaggi per potersi esprimere come artista e chi se li crea, diciamo“: e Chiara appartiene fermamente alla seconda categoria.

Tra monologhi tragicomici, testi teatrali, romanzi, podcast, tournée internazionali e i recenti amori per la stand up comedy e la radio, l’attività di questa brillante attrice, autrice e regista si sviluppa su tanti fronti.

Rimanendo fedele all’idea che “effetti come ‘la risata’ siano non il fine a cui aspirare, ma il mezzo da utilizzare per costruire una realtà diversa“.

Non intervistavo Chiara da 6 anni (6 ANNI!) e quindi gustatevi tutta la sua storia recente mescolata ai racconti dei suoi esordi, in cui casa e scuola sono stati i luoghi fondamentali dove l’attrice romana ha imparato ad amare l’arte.

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Chiara Becchimanzi

Mi racconti da dove nasce la storia artistica di Chiara? 

Se mi chiedi “dove” ti rispondo con i 2 luoghi-non luoghi in cui ho imparato ad amare l’arte e “abbeverarmene” quotidianamente: casa e scuola.

Ho avuto la fortuna di crescere in una casa piena di libri, piena di videocassette con le commedie di Eduardo, piena di cataloghi d’arte e stampe di Schifano, Greco, Luciani, Nespolo, per i quali non mi stancavo mai di chiedere spiegazioni.

Spiegazioni che i miei genitori non si stancavano mai di darmi.

Avevo un’attitudine infantile abbastanza solitaria, che mi portava a inventare mondi piuttosto che abitarli, dotandomi dei miei strumenti prediletti: i libri, fonte inesauribile di ispirazioni meravigliose.

Quando avevo 12 anni mio padre cominciò a lavorare con una compagnia teatrale locale, decidendo finalmente di coltivare una passione abbandonata a Napoli ma mai sopita.

In quella stessa compagnia ho debuttato 16enne – ero Viola in “Uomo e Galantuomo”: “Ndreeee, tu nun me faje niente?” – “Nzerra chella porta”. E chi se lo scorda più!

C’è da dire anche che tutti e tutte i/le docenti che ho incontrato sulla mia strada erano grandi appassionati/e d’arte.

Dalla prof. Ricci, che alle medie mise in scena “Lisistrata” e assecondò le mie velleità di sceneggiatrice riuscendo a farci realizzare un film, al preside Maulucci, che allora dirigeva il Liceo Classico Dante Alighieri e considerava il teatro come una materia a sé.

E così la inseriva nei programmi didattici, passando per una moltitudine di altri/e insegnanti illuminati/e, capaci di regalarci stimoli artistici anche durante una lezione di scienze della terra o matematica.

Considera che in quinto ginnasio facemmo una gita a Milano apposta per vedere “Oùtis” di Berio a La Scala – era tutta in greco, e fu ardua: la fila di compagni dietro di me si addormentò al sesto minuto, si svegliarono solo quando arrivò la scena dei nudi!

Dopodiché, tutti questi “semi d’arte” hanno trovato terreno fertile nella mia inclinazione all’egocentrismo, all’esibizionismo e al fiume di parole che riesco a partorire in ogni situazione, persino un’intervista!

Parlami delle tue attività in tempi di “non pandemia”: cosa ti piace proporre, sul palco, soprattutto?

La mia attività artistica si sviluppa su vari fronti: la stand up comedy, scoperta negli ultimi anni; i miei monologhi tragicomici; gli spettacoli teatrali di Valdrada, che scrivo e dirigo; poi c’è stato il romanzo, la tournée internazionale con Ondadurto, il podcast…

Sul palco cerco sempre di proporre uno specchio della realtà – che però non è mai identico a come ci aspettiamo che la realtà sia.

Uso il filtro della mia analisi, di volta in volta satirico, grottesco, drammatico o esilarante, per mostrare al pubblico le mie deformità… che poi sono anche le loro.

E come una macchia d’olio, estendere questa vetrina impietosa a tutto ciò che ci circonda, per agire un cambiamento, o quantomeno provarci.

In questo ho il romanticismo dell’idealista: credo ancora che effetti come “la risata” siano non il fine a cui aspirare, ma il mezzo da utilizzare per costruire una realtà diversa. 

Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?

Sto sul palco da 20 anni tondi tondi.

In questi 20 anni ho attraversato molte situazioni e sperimentato molti modi per “agire” l’arte, ho girato il mondo, ho avuto le mie grosse delusioni e le mie immense soddisfazioni.

Ho capito nel tempo come ridimensionare le mie aspettative e come non lasciarmi affascinare dai mondi che mi sembrano troppo patinati, perché spesso quella patinatura ti si sgretola tra le mani… Come “La morte ti fa bella”, ti ricordi?

Il cambiamento più notevole riguarda il fatto che negli anni ho imparato a essere totalmente autonoma per quel che riguarda quasi tutte le competenze della filiera artistica.

C’è chi aspetta gli ingaggi per potersi esprimere come artista e chi se li crea, diciamo.

E io ho imparato a stare molto comoda nel secondo gruppo, anche grazie alla compagnia che dirigo insieme a Giulia Vanni, Monika Fabrizi e Giorgia Conteduca

Domanda retorica (forse): l’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?

Del tutto.

Dal punto di vista teatrale tutto si è fermato, poi è ripreso, poi si è rifermato: mai amplesso interrotto fu più difficile da sopportare.

La stand up comedy live riflette più o meno lo stesso andamento, sebbene goda di un’agilità logistica che il teatro non ha.

E grazie al coraggio di canali come Comedy Central ho potuto anche registrare, in piena pandemia, sia nel 2020 che nel 2021. 

A parte le criticità però, io sono stata fortunatissima: nella stagione più difficile, quella 2020-2021, sono entrata nella squadra di speaker di Dimensione Suono Roma co-conducendo, insieme a Fabrizio D’Alessio, “La Ritirata dei Gladiatori”, programma comico quotidiano di cui ero anche autrice.

Un’esperienza pazzesca che mi ha dato tantissimo e che si è conclusa in vista della ripartenza dei live.

Ma sono sincera, la radio mi ha rubato il cuore, quindi non vedo l’ora di infilarmi in un altro studio, davanti a un altro microfono!

Per adesso, invece, ti dico che nonostante i teatri siano aperti l’andamento del pubblico è talmente imprevedibile che il nostro mestiere è diventato ancora più precario del solito: è un terno al lotto, praticamente!

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Al momento di cosa ti stai occupando?

Dunque! Intanto sto cercando di destreggiarmi con le date del tour, perché comunque mi faccio un sacco di bei giretti, di cui un appuntamento fondamentale saranno le 3 serate al Teatro De’ Servi (11-12-13 marzo).

Poi scrivo sempre nuovi pezzi per il palco e per i social e sto collaborando come autrice a un paio di progetti televisivi che non ti posso svelare – per scaramanzia!

Insomma scrivo, scrivo, scrivo!

Sto registrando insieme a Giorgia Conteduca nuove puntate di “A ciascuna il suo”, il podcast erotico-comico tratto dal mio romanzo e sto lavorando all’adattamento teatrale.

Per quanto riguarda Valdrada: abbiamo appena allestito “Le Intellettuali di Piazza Vittorio”, un adattamento da “Le Intellettuali” firmato da me con la regia di Augusto Fornari.

E poi stiamo lavorando a una webserie che sto scrivendo insieme a Leila Rusciani e sarà co-prodotta dal Laboratorio di Arti Sceniche di Massimiliano Bruno.

Teatri e cinema sono rimasti chiusi praticamente per tutta la durata dell’emergenza pandemica e sono stati gli ultimi luoghi culturali ad aver riaperto. La cultura è davvero “non necessaria”?

Lo chiedi alla persona sbagliata, adesso ti attacco un pippone esagerato! 

No, brevemente: ti rispondo con 2 citazioni. 

Il teatro è il pronto soccorso dell’anima”, diceva Camilleri.

Il vuoto della cultura genera mostri”, diciamo noi del Teatro del Lido di Ostia, parafrasando il sonno della ragione di Goya

L’errore principale che secondo me si fa quando si parla di cultura è di pensarla, definirla e descriverla come scollata dalla realtà. 

È lo stesso triste destino che è toccato alla politica: da “cosa che riguarda molti” a “ricettacolo di nefandezze”.

La cultura è invece intimamente connessa alla comunità di coloro che agiscono nella comunità stessa.

Fa parte di noi, e come tale dovrebbe esserne garantita un’offerta “pubblica”…

Quando abbiamo occupato il Teatro del Lido parlavamo di “servizi di prossimità culturale”: come l’Asl, così i centri culturali pubblici, accessibili, vivi, attivi sui territorio.

Un sogno? Chissà! Certo è che il vuoto di questi servizi favorisce la gramigna delle sotto-culture: disinformazione, odio, paura, razzismo, fobie, malessere psico-fisico. 

Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi

Girare i palchi d’Italia in lungo e in largo con tutti gli spettacoli che ho nel carnet! Sarebbe una bellissima iniziativa: io ce l’ho in mente, speriamo che si realizzi!

Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera

Sicuramente “Principesse e Sfumature”, perché è uno spettacolo che non smette mai di regalarmi soddisfazioni immense e momenti irrinunciabili di empatia col pubblico.

Oltre che di andarsene per strade inaspettate, che hanno generato nel tempo nuovi progetti e nuovi spettacoli come “Terapia di gruppo”, che è una sua “naturale” evoluzione. 

C’è una cosa che un’attrice non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?

Secondo me un’attrice non deve mai dimenticare che quello che fa lo sta facendo per il pubblico. 

Di conseguenza, dev’essere sempre in ascolto: di chi è con lei sul palco e di chi invece la guarda dalla platea. 

Mi descriveresti il lavoro artistico di Chiara Becchimanzi con un’immagine e con 3 parole?

Le 3 parole sono molto concrete: “borsa piena zeppa”… con tutti i pro e i contro che la metafora comporta (tipo che a volte non riesci più a trovarci le chiavi di casa).

L’immagine – la prima che mi viene in mente – è l’Auryn, l’amuleto dell’Infanta Imperatrice ne “La Storia Infinita”…

Perché in fondo il mio, il nostro lavoro, non è altro che una battaglia infinita contro il Nulla che avanza. 

The Parallel Vision ⚭ ­_ Paolo Gresta)