Intervista: Kyrahm, “l’arte è un’esigenza che non mi lascia scelta”
Eccezionale e travolgente performer dalle infuocate proposte artistiche e iniziative culturali, Rita Chessa, in arte Kyrahm, è una delle artiste più affascinanti e pure che abbiamo in Italia.
Kyrahm opera in ambito internazionale nel campo della performance art e della videoarte tra arte contemporanea e teatro d’avanguardia, cercando un costante dialogo con il cinema, elaborando video e documentari sperimentali.
Ma sono soprattutto le performance di body art la cifra stilistica di Rita: il forte impatto emotivo che suscitano sul pubblico si lega a opere spesso sconvolgenti, che hanno ricevuto consensi sia in Italia che all’estero all’interno di numerose rassegne, mostre, festival.
L’intervista di The Parallel Vision di oggi è dedicata a lei.

Performer internazionale, autrice, regista, pittrice. Mi racconti da dove nasce la storia di Kyrahm?
Dopo la formazione artistica e l’università ho sentito la necessità di dedicarmi all’arte e ho capito sin da subito che la performance art fosse il linguaggio con il quale sarei riuscita ad esprimermi meglio.
È una forma espressiva che non lascia scampo, dove l’opera d’arte è l’artista e la sua azione.
Nel 2008 è nato il progetto Human Installations con Julius Kaiser: manifesto e factory di produzione tra cinema e arti performative.
Abbiamo presentato le opere in Italia e all’estero creando una rete capillare con la body art mondiale, iniziative sulla performance e la videoarte, film e documentari.
Parlami della tua arte: cosa ti piace proporre, soprattutto? C’è un messaggio sotteso universale in ogni tua performance?
Riflessioni cercando di fornire degli strumenti per stimolare il pensiero critico.
Molta della produzione volge lo sguardo verso tematiche a carattere sociale come migrazioni, diritti umani, violenza contro le donne, lotta alle mafie.
Cosa distingue il tuo modo di esprimerti da quello di altri tuoi colleghi?
Ogni artista ha una propria modalità espressiva quindi non sarei in grado di rispondere a questa domanda in maniera esaustiva.
Un critico d’arte però una volta mi disse che la scelta di non pormi necessariamente al centro dei miei lavori coinvolgendo altri, le loro esperienze, voci mi avrebbe posizionato in un luogo di confine tra la live art e la regia autoriale.
Nella mia ricerca tutto ciò che avviene è reale, non c’è spazio per l’interpretazione, non coinvolgo attori.
Si tratta di opere spesso estreme e chi ne fa parte si offre senza pelle.

Al momento di cosa ti stai occupando?
Ho ideato e organizzato come Human Installations insieme a Corpo Festival delle Arti Performative e Art Performing Festival l’iniziativa Free Performance Art: il 31 marzo e il 2 maggio artisti da ogni parte del mondo hanno offerto, eccezionalmente durante il lockdown dovuto all’emergenza Coronavirus, performance e video per 48 ore.
Personalmente ho presentato “Human Installation XX: DAVIDE E GOLIA”, il video di una performance da me scritta e diretta che si è svolta nel 2019 al museo MACRO di Roma.
Si tratta di un progetto che ha visto la partecipazione di un vero testimone di giustizia, Luigi Leonardi, un imprenditore che si è opposto alla camorra rifiutandosi di pagare il pizzo.
Julius Kaiser ha invece performato in streaming “Tre Piccoli Studi: Assenza, Sogno, Mangiare”, una delicata performance sul ricordo e i sentimenti.
In questo momento sto lavorando a un nuovo lavoro performativo sulle relazioni umane, ma è ancora in fase embrionale, in attesa che possa essere presentato dal vivo nella speranza che presto si possa accedere nei luoghi della cultura.
A tal proposito il 3 settembre è previsto un nuovo appuntamento organizzato da Human Installations e comunicheremo il prima possibile modalità, location e dettagli.
Presto uscirà inoltre un testo-saggio realizzato con il Dams di Bologna, che ha preso come oggetto di studio alcune mie opere.
Una iniziativa che è stata possibile grazie all’artista Mona Lisa Tina che ha organizzato il convegno insieme al professore Stefano Ferrari con la partecipazione di studiosi, storici dell’arte, scrittori, psichiatri, filosofi.
Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?
Mi occupo di performance art da circa 20 anni, ma è dal 2008 che l’approccio è divenuto totalizzante.
Ancora oggi amo seguire naturalmente il mio istinto, come accadeva in passato, rispondendo a una esigenza che mi spinge con le spalle al muro, che non mi lascia scelta.
Parte tutto da una immagine, disegni e dipinti preparatori che costituiscono una sorta di storyboard delle mie opere.
Inizialmente prediligevo le durational e le performance di body art estrema. La performance non consente compromessi.
Ho lavorato a diverse performance ma la prima a essere presentata ufficialmente fu “Human Installation 0: Crisalide”. Rinchiusa in un bozzolo per 27 ore in una piazza di Roma con collegamento web 24 ore su 24, accudita per i bisogni primari dalla mia vera madre, ho inaugurato nel 2009 il festival di body art Mutazioni Profane.
Uscita dal bozzolo, ho ricominciato a nutrirmi e riprendermi a teatro per iniziare “Human Installation II: Life Cycle” ispirato alle fasi dell’esistenza dopo la nascita: un neonato di 18 giorni, la pubertà, soggetti anziani.
Con “Human Installation I: Gender Obsolescence”, Julius Kaiser effettua la trasformazione da donna a uomo sulla scena mentre uomini e donne cisessuali e transessuali mostrano con orgoglio i loro corpi.
Un progetto che ha ottenuto diversi riconoscimenti in Italia e all’estero.
Durante la mia azione “Sacrifice” avviene una vera crocifissione con la tecnica della sospensione mentre piango sangue togliendo aghi conficcati nella mia arcata sopraccigliare.
Con il tempo ho maturato la necessità di crescere volgendo lo sguardo altrove: in “(A)mare Conchiglie” di Kyrahm e Julius Kaiser, migranti dal mare e anziani ex emigrati italiani all’estero nel dopoguerra hanno raccontato le loro storie da una tavolata sospesa in mezzo al mare al pubblico presente in spiaggia.

Hai un pubblico-tipo?
Principalmente appassionati d’arte contemporanea e linguaggi estremi. Tuttavia negli anni il pubblico che è venuto ad assistere ai miei lavori si è molto diversificato per la molteplicità degli argomenti proposti.
C’è una cosa che un artista non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Non credo né ai mai e né ai sempre, quindi non mi sento di pontificare e per questo preferirò utilizzare il condizionale.
So solo che il manifesto Human installations ha una policy etica basata sul rispetto, l’onestà intellettuale, l’abnegazione.
Si tratta di un comportamento necessario per chi aderisce al movimento, non si tratta di un’imposizione, ma di una condizione.
Un artista non dovrebbe danneggiare un altro artista. In passato mi è capitato di interrompere delle relazioni artistiche con chi non ha fatto propria questa visione, anche se la storia ci insegna che è possibile una condizione che vede la coesistenza di un pessimo uomo dietro un ottimo artista.
L’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?
Credo che per tutti sia stato devastante.
A causa del Covid-19 diverse proiezioni e iniziative culturali a cui sono stata invitata sono state cancellate o hanno subito slittamenti.
Mentre guardavo al futuro pensando a questa umanità orientata verso l’infinitamente grande e alla conquista di Marte, qualcosa di infinitamente piccolo ci investiva in pieno trasformando le nostre vite.
Free Performance Art, come detto prima, è una iniziativa nata durante l’emergenza Coronavirus.
Diverse le manifestazioni che hanno deciso di proporre questa formula. “Free” in inglese si traduce come “libero” e “gratuito”, ma nel rispetto del lavoro degli artisti si considera l’evento come un dono prezioso ed esclusivamente circoscritto alla situazione eccezionale della quarantena durante la pandemia.
Human Installations non vuole che internet si trasformi in un nuovo terreno di sfruttamento dove attraverso le dirette viene chiesto di diffondere il proprio lavoro senza compenso.
Grazie a questo evento gli artisti sono stati impegnati in qualcosa di creativo e le persone in quarantena hanno potuto godere della bellezza nonostante i luoghi della cultura fossero chiusi.
Ma il 18 maggio i musei sono stati riaperti e per giugno anche i teatri e i cinema, a meno che non ci saranno nuove disposizioni, saranno di nuovo accessibili. Il prossimo appuntamento quindi previsto per il 3 settembre vuole configurarsi in una nuova sfida a ricominciare.
Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi
Saranno presentate nuove performance e continueranno le proiezioni di quelle già realizzate. Si lavorerà alla realizzazione di nuovi progetti video.
Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera
Sicuramente “Ecce (H)omo, Guerrieri” realizzato nel 2016.
Nato in un periodo controverso per la mia salute.
In questa opera le persone hanno donato la loro vita in un progetto sulla fragilità umana, la malattia e il diritto di tutti i corpi a esistere ed essere amati.
Per la delicatezza dei contenuti proposti l’ho voluto mostrare solo 2 volte: ho limitato le proiezioni in attesa di una cornice dignitosa che ne rispetti le intenzioni senza strumentalizzazioni.
Lo descrivo con molta commozione: il pubblico è invitato ad assistere a una performance in un palazzo nobile del ‘600.
È possibile entrare in una stanza per volta, in successione, come in una processione laica: una donna con una malattia terminale, che ora non c’è più, lascia un messaggio d’amore.
Nella sala successiva una famiglia composta da 2 madri e una neonata giocano insieme mentre un figlio si prende cura della madre anziana.
Una donna ascolta la voce registrata della compagna ormai morta, con la quale ha condiviso 23 anni della sua vita.
Nell’ultima sala, il canto di un soprano accompagna una Pietas tra un giovane guerriero segnato dalla lotta (l’artista Nicola Fornoni) e una giovane donna (me medesima) che si lasciano andare a effusioni e baci.

Mi descriveresti Kyrahm con un’immagine e con 3 parole?
Cammino lentamente, la mia schiena nuda è adornata da perle conficcate nella carne da aghi.
È un’immagine tratta da “Il gioielliere”, una delle opere della mia fase più carnale.
3 parole? Le prime che mi vengono in mente: autenticità, strappo, amore.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)