#Recensione: “Venere e Adone”, la bellezza genera bellezza
Non sempre una recensione è necessaria per raccontare, possibilmente in atteggiamento critico e culturalmente efficace, una performance.
Talvolta l’urgenza diventa quella di fissare fra le parole il valore universale che lo spettacolo in scena porta con sé.
“Venere e Adone” in scena dallo scorso primo settembre per la stagione estiva 2021 del Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti è capolavoro da conservare nello scrigno delle esperienze preziose.
È balsamo poetico per assistere silenziosi e senza inciampo al duello fra la forza e il desiderio che infiamma Venere dell’amore verso il giovane Adone.
I 2 volti di questa emozione sono presentati da Shakespeare in maniera sublime.

“Il primo parto della mia fantasia”
“Venere e Adone” di William Shakespeare fu composto nel 1593 quando la città, infestata dalla peste, dovette chiudere i suoi teatri per evitare il diffondersi dell’epidemia (e già solo per questo oggi fatalmente attuale).
Ispirato al decimo libro delle “Metamorfosi” di Ovidio, Shakespeare definì “Venere e Adone” come “il primo parto della mia fantasia“, forse a testimonianza del primato che la poesia aveva per lui su tutto.
“L’amore con lo stesso vestito indossa il riso e il pianto”
La regia di Daniele Salvo è tratto distintivo e sempre fonte di grandi suggestioni e riflessioni.
L’amore fluido, del quale oggi abusiamo il termine e le fattezze, diviene movimento costante dei tre protagonisti in scena.
“Nulla è uguale mai a sé stesso ma costanti sono le variabili che ci incatenano all’amore“, sembra suggerire la regia di Salvo.

I protagonisti
Gianluigi Fogacci è un intenso William Shakespeare che narra e vive al tempo stesso il dramma della passione di Venere.
Vigorosa e acrobatica la sua interpretazione che si rende efficace per il senso di paterna compartecipazione alle vicende da lui stesso narrate.
Un personaggio che riesce con destrezza a comunicare il suo esistere dentro e fuori il proprio componimento.
Impresa non facile se pensiamo che le azioni sceniche si compiono fra pochi ma essenziali elementi.
I protagonisti in scena riempiono il palco del Globe facendo apparire monumentali, queste azioni, nella loro semplicità.
Melania Giglio è la meravigliosa Venere.
La bravura dell’artista è indiscussa. Gioca con il proprio personaggio facendolo oscillare fra le sfumature dell’ironia e del dramma esattamente come nelle intenzioni del bardo.
La bellezza è in ogni suo gesto, la passione nella sua voce potente e nei suoi occhi grandi che interrogano il pubblico e il palcoscenico scorre la poesia del testo shakespeariano.
Riccardo Parraccini è Adone.
Il giovane, che ignaro gioca con la propria giovinezza brutalmente interrotta ad opera del geloso Marte, è perfetto nel suo ruolo e volteggia fra l’innocenza e la passione carnale.
La danza fra lui e Venere, che diventa drammatica nel momento più buio, incanta e appassiona il pubblico.
La tensione raggiunge il suo apice con il monologo finale di una disperata Venere.
La melodia profonda della voce di Melania Giglio consegna a tutti noi la genesi delle pene d’amore da lì all’infinito: il perché a tanta bellezza esso accompagna dolori senza fondo.
Tutto sembra svelato in questo canto finale dal sapore eterno, condannato a ripetersi all’infinito per chi incontrerà amore.
“Venere e Adone” è un gioiello incastonato nella pietra d’angolo del tempio romano del teatro elisabettiano.
Da queste poche parole riecheggi ancora l’applauso che ha accompagnato i protagonisti verso i saluti di congedo.
C’è bisogno delle parole immortali del teatro per poter costruire futuri migliori.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Redazione)
(Foto: © http://www.globetheatreroma.com)