#Recensione: “Sogno di una notte di mezza estate” al Globe Theatre
Non è certamente un caso che Shakespeare abbia deciso di ambientare una vicenda amorosa piena di equivoci (per non dire equivoca) e irta di fraintendimenti (per non dire ambigua) in una notte d’estate.
Quando, se non è il succo di un fiore magico, ci pensano lo scirocco e un cocktail fatto bene a farti scordare chi credevi di essere e cosa credevi di volere fino a un minuto prima.
Noi siamo (eravamo, quella Notte delle Stelle di 3 settimane fa) a Villa Borghese, a 2 passi dal bosco alla periferia di Atene.
Qui si vanno dipanando un po’ di storie contemporaneamente: se da una parte c’è una doppia coppia di giovani con poche idee ma confuse, dall’altra c’è una compagnia di aspiranti attori – comici loro malgrado – che prepara uno spettacolo per svoltare alla corte di Teseo.
E da un’altra ancora un pugno di genitori in pena che vorrebbe accasare i figli e magari anche divertirsi in occasione delle nozze.
Lo spettacolo
La storia è nota, l’allestimento – che quest’anno abbiamo con piacere rivisto al Globe Theatre nel frattempo intitolato a Gigi Proietti – è quello dello scomparso Riccardo Cavallo, che una fedele compagnia porta avanti da 15 edizioni con ovvie modifiche nel cast, rimasto però invariato nelle ultime stagioni.
Anche se stavolta c’era chi indossava una maschera e chi una mascherina, gli occhi lasciavano trasparire che tutti nascondevamo un’allegria di intesa, attori compresi.
“Il sogno di una notte di mezza estate” riesce sempre a dar vita a una piccola grande magia.
E non rimane che sorridere disarmati nel riconoscere quel che accade quando iniziano a farsi meno chiari i desideri degli amanti.
E quando l’amore, che è cieco ma pure sordo, diventa anche cattivo nel momento in cui scompare la convinzione nei confronti della persona che si presumeva d’amare, anche la bambina seduta nella fila di poltrone alle mie spalle inizia a farsi delle domande e le gira alla mamma.
Come quando si ascolta una favola e non si capisce perché il protagonista inizi a fare le cose che non ti aspetteresti da lui.
“Ma perché ora la tratta male se prima le aveva detto che le voleva bene?”
(Mettiti in fila, bambina cara, qui stiamo ancora cercando di capirci qualcosa).
In condizioni normali un parlottio nell’orecchio mentre sei a teatro non è che si sopporti proprio di buon grado.
Ma in questa situazione anche tra il pubblico serpeggiavano risate fragorose insieme con quell’interrogativo dannatamente attuale:
“Siamo più in balìa del Caso o del nostro inconscio traumatizzato?”
E ognuno cercava di rispondersi come gli faceva più comodo.
Quanto ci vedeva lungo William. E come sapeva raccontare le sfumature dell’umana volubilità pur dandone la colpa a sortilegi e malìe!

I protagonisti sul palco…
A proposito di stregonerie, ecco l’Oberon di Carlo Ragone e la Titania di Claudia Balboni attraversare la vicenda sfiorando il suolo con passo leggero, quasi per non lasciare impronte sulla trama, ché non appaia lo zampino dell’incantesimo, altrimenti l’essere umano come fa a sentirsi spaesato?
La coppia centrale, formata da Ermia (Valentina Marziali) e Lisandro (Marco Paparella), scambiandosi con quella di Elena (Federica Bern) e Demetrio (Sebastiano Colla) strizza l’occhio a intuizioni che rendono Shakespeare più moderno dei moderni, col suo linguaggio (tradotto da Simonetta Traversetti) che non necessita di specifiche di genere.
Che parla a tutti nello stesso modo e non teme ritorsioni se mette in bocca a una donna innamorata ma non corrisposta una frase che suona più o meno così: “Portami al guinzaglio come fossi il tuo cagnolino, basta che mi tieni accanto”.
E non deve temere neanche di apparire snob se raccoglie intorno alla figura di Zeppa, un capocomico alla partenopea splendidamente personalizzato da Marco Simeoli, un gruppetto di sbandati in cerca d’autore, il mitico Chiappa di Gerolamo Alchieri, il Beccuccio di Claudio Pallottini, il Tassello di Andrea Pirolli e il Ciufolo di Raffaele Proietti.
Impossibile non parlare del Puck di Fabio Grossi e della Fata di Cristina Noci, figure aeree e vagamente nevrotiche (si colga il senso giocoso del termine), burattinai inesperti e umanissimi che assecondano i capricci delle divinità del bosco sapendo già dove si andrà a parare.
Ma altrimenti che gusto c’è a vivere?
A completare il cast la Regina delle Amazzoni di Daniela Tosco, il Teseo di Martino Duane e il suo cerimoniere Bruno Monico e Alessio Sardelli, padre della bella Ermia.

…E quelli dietro le quinte
Complici, poi, le scenografie essenziali e anch’esse magiche di Silvia Caringi e Omar Toni, il gioco di luci firmato da Umile Vainieri, le polveri del palco e dei costumi di scena di Manola Romagnoli che svolazzavano come nuvole stregonesche.
E poi le arie d’opera ad accompagnare alcuni passaggi (Daniele Patriarca è il sound engineer) e ovviamente il cast per intero da applauso.
Le 2 ore abbondanti di spettacolo sono scivolate via facendoci fare amicizia con le insicurezze, le gelosie, le mitomanie e le perversioni di tutti: dagli umani alle fate, dai duchi ai commedianti.
Commovente, poi, l’applauso finale, con i tanti attori allineati a raccogliere applausi entusiasti.
Per un attimo sembra davvero si possa tornare a quegli allestimenti baldanzosi cui eravamo abituati un bel po’ di tempo fa e cui, non solo a causa del Covid, è sempre meno frequente assistere.
Chissà se abbiamo sognato anche noi.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paola Polidoro)
(Foto: © Debora Tofanacchio)