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#Intervista: Catia Proietti, parole con ali di farfalla

Intervista: Catia Proietti, parole con ali di farfalla

Il racconto delle periferie romane, quella di San Basilio in particolare. Le giornate dei lavoratori precari, i personaggi che si interrogano senza avere certezze né voce.

A Catia Proietti sta a cuore tutto questo e molto altro.

Attiva da anni sul territorio per far ascoltare la moltitudine di storie che ogni realtà periferica nasconde (“oggi certe vicende sembrano lontane da noi e invece sono lì, dietro l’angolo, in pericoloso agguato“), Catia ha da poco pubblicato “Sulla strada di Iqbal” (Albero delle Matite), il suo terzo romanzo dopo “Da ora in poi” (Il Ciliegio) e “A piedi nudi” (Albero delle Matite).

Una vicenda apparentemente dimenticata che ha colpito soprattutto i più giovani, il pubblico principale a cui l’autrice romana si rivolge.

Sulla strada di Iqbal” racconta attraverso gli occhi della giovane protagonista Maya la vera storia di Iqbal Masih, il più giovane sindacalista del mondo, ucciso a 12 anni dalla mafia dei tappeti in Pakistan.

Oggi Catia mi ha raccontato qualcosa in più sull’ultima opera da lei firmata e sulle iniziative che la vedono protagonista in giro per Roma, sempre numerose.

Perché “non è più solo il desiderio di gridare l’ingiustizia, ma è quello di costruire qualcosa di nuovo insieme al lettore“.

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Catia Proietti

Mi racconti da dove nasce la storia letteraria di Catia?

Questa storia comincia di fronte a un’edicola.

Avevo 6 anni, da poco avevo appreso la magia della lettura e mi trovavo di fronte a un libro per bambini della Walt Disney.

Sillabando lessi il titolo: Peter Pan. È stato il primo libro che ho letto in autonomia.

Da allora la parola scritta è diventato il mio modo per comprendere il mondo e per esprimermi. 

Per tanti anni scrivere è stato il classico sogno nel cassetto. Non ero abbastanza solida per espormi. Poi, quando ho cominciato a vivere l’adolescenza dei miei figli, l’urgenza del dire mi ha obbligata a tirar fuori la testa dalla sabbia.

Non ho potuto sottrarmi a quella che in ogni storia viene definita “la chiamata all’avventura”.

Così sono partita per questo viaggio.

Parlami delle tue attività: cosa ti piace scrivere, soprattutto?

Mi piace raccontare i ragazzi, le loro difficoltà rispetto a un mondo adulto oggi molto incoerente, questo loro sguardo sgomento di fronte al futuro.

Mi piace raccontare le periferie, il lungo viaggio nel traffico per tornare a casa, le inquiete giornate di famiglie che vivono di lavori precari.

Soprattutto mi piacciono i personaggi che non hanno certezze, che si interrogano.

E amo i silenziosi ribelli dei nostri giorni.

Sono tanti, solo che non hanno voce.

C’è qualcosa che secondo te distingue la tua scrittura da quella di altri tuoi colleghi? 

Questa è una domanda difficile. Posso dirti quello che io cerco di fare, poi credo che spetti ai lettori descrivere la mia scrittura e dire perché mi scelgono.

Io cerco di parlare con il linguaggio dei ragazzi, ascolto le loro musiche, guardo le serie che vedono loro, mi annoto le frasi del loro gergo rubandole ai miei figli.

Non guardo “Stranger Things”, “Atypical” o “Black Mirror” perché lo guardano loro per studiarli, ma perché mi piacciono. Credo questo crei la differenza.

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“Sulla strada di Iqbal” è il tuo ultimo romanzo. Raccontami di cosa si tratta

Racconto la vera storia di Iqbal Masih, il più giovane sindacalista del mondo, ucciso a 12 anni dalla mafia dei tappeti in Pakistan.

Lo faccio attraverso gli occhi di Maya, una ragazzina di 13 anni, che scopre la sua storia a scuola, durante una lezione in cui si parla di ecosostenibilità e diritti civili. 

Chi sono le protagoniste della tua storia?

Maya e Irene. Figlia e madre che vivono sole, in un piccolo appartamento nella periferia romana, lungo la Via Prenestina.

Irene ha un lavoro precario. Cade e si rialza in continuazione.

Maya ripercorre, suo malgrado, la storia di Iqbal, perché sai, oggi certe vicende sembrano lontane da noi e invece sono lì, dietro l’angolo, in pericoloso agguato.

Le persone che hanno letto il libro cosa hanno apprezzato, soprattutto?

Molti ragazzi sono rimasti colpiti da una scena in cui Maya si guarda allo specchio con gli occhi dei suoi coetanei: lei si sente “diversa”.

Con i ragazzi abbiamo parlato molto di questo. Tanti di loro non conoscevano la storia di Iqbal Masih, ne sono rimasti colpiti, lo hanno disegnato, hanno creato segnalibri, gli hanno scritto delle lettere. Mi ha molto commossa.

Io ero giovane quando Iqbal Masih è stato ucciso e ho sempre pensato che la sua storia non dovesse essere dimenticata.

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Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di scrivere e raccontare? 

Questa domanda mi fa sempre sorridere.

Si diventa scrittori nel momento in cui qualcuno pubblica un tuo progetto, quando qualcuno ne parla o nel momento in cui tu decidi che scrivere è un lavoro?

Non è una provocazione la mia, sto ancora cercando di capire.

Ho deciso che la scrittura nella mia vita doveva avere un ruolo importante 10 anni fa, ho percorso un sentiero, sbagliando molto perché non avevo un maestro a illuminarmi la via, a consigliarmi.

5 anni fa ho firmato il mio primo contratto di pubblicazione.

Da allora ho perso molte delle illusioni che accompagnano sempre la realizzazione di un sogno.

Quello che è cambiato nella mia scrittura è di sicuro il mio grado di consapevolezza: se nel mio primo romanzo “Da ora in poi” c’era l’urgenza di raccontare il mio quartiere di adozione, San Basilio, ora quell’urgenza si è trasformata in consapevolezza.

Non è più solo il desiderio di gridare l’ingiustizia, ma è quello di costruire qualcosa di nuovo insieme al lettore. 

Hai un pubblico-tipo?

Ragazzi di sicuro, poi a mia sorpresa tanti adulti, maestri, professori, molti genitori.

Questo mi rende felice, vuol dire che queste persone sono alla ricerca di qualcuno che traduca il loro sentire. 

A Natale per esempio molte donne hanno acquistato “Sulla strada di Iqbal” per altre donne: la sorella, la cugina, l’amica.

Mi chiedevano dediche di incoraggiamento. Mi raccontavano le difficoltà di queste madri, spesso sole a gestire lavori precari e figli adolescenti.

C’è una cosa che una scrittrice non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?

Lo chiedi alla persona sbagliata. Io sono una che non crede nelle ricette. Seguo con precisione le indicazioni di mia madre, ma i miei piatti non sono mai come i suoi.

Si può studiare, si devono avere gli elementi di conoscenza per qualunque percorso noi vogliamo intraprendere, ma poi ogni persona è diversa, ognuno declina il mondo intorno con un suo personale taglio.

Delle volte funziona, delle volte no.

Però, ora che mi ci fai pensare, una cosa che bisogna fare sempre c’è: scrivere storie in cui si crede!

Quando si scrive perché quel genere “tira”, perché quel personaggio funziona, i progetti perdono passione, mentre la gente vuole vibrare leggendo.

So che sei anche molto attiva nel campo del sociale, soprattutto nella zona di San Basilio

Collaboro molto con le scuole di San Basilio e dei quartieri limitrofi, con le associazioni e con la libreria “La libroteca”, unico luogo dove acquistare libri dalle nostre parti.

Abbiamo organizzato incredibili progetti.

Uno in particolare mi è rimasto nel cuore: un gemellaggio tra la scuola “Federico Fellini” di San Basilio e la scuola “Illuminato-Cirino” di Mugnano di Napoli nella Giornata della legalità in onore di Don Peppe Diana, a seguito del mio libro “Da ora in poi“.

Parlami delle iniziative (artistiche/culturali e non) che hai in mente per i prossimi mesi

L’uscita di “Sulla strada di Iqbal” è coincisa, ahimè, con la seconda ondata della pandemia.

Vorrei riprendere gli incontri in presenza, nelle scuole, nelle librerie, nelle associazioni.

Ho continuato a incontrare i ragazzi sulle piattaforme digitali grazie al lavoro degli insegnanti, ma mi manca il rapporto diretto, mi manca l’abbraccio, il sorriso, la stretta di mano.

Attendo la primavera fiduciosa. C’è molto da ricostruire.

Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera

Mi metti in difficoltà, sai? Quando lavoro a un progetto io ci sto al cento per cento. Non riesco a sceglierne uno rispetto agli altri.

Sono fiera di “Da ora in poi” perché ho trasformato il finale di Rosso Malpelo: non l’ho lasciato morire nella cava di rena.

Sono fiera di “A piedi nudi” perché ho creato un progetto sulla consapevolezza per bambini. Mi dicono servirebbe anche per gli adulti!

Sono fiera di “Sulla strada di Iqbal” perché sono riuscita a rinnovare l’interesse verso questo giovane che ha dedicato la sua vita al sogno di un mondo di giusti.

Mi descriveresti il lavoro di Catia Proietti con un’immagine e con 3 parole? 

Per l’immagine è semplice: una farfalla.

Sono una persona “pesante”, le farfalle mi ricordano la leggerezza con cui bisogna posarsi. Diversa cosa dall’essere superficiali.

Nei miei incontri faccio sempre trovare delle farfalle colorate su cui chiedo di scrivere in forma anonima i propri sogni, i propri pensieri al mondo. Non hai idea di quanto raccontino di sé le persone se non chiedi di firmarsi. 

3 parole: “è tempo adesso”.

Non domani, tra giorni, tra anni. I nostri ragazzi hanno bisogno di noi adesso.

Sforziamoci tutti per trovare la strada del dialogo e riconquistare la loro fiducia.

The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)

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