Intervista: A passeggio tra le visioni oniriche di Gerlanda Di Francia
Emotiva, onirica, surreale, potente. L’arte di Gerlanda Di Francia è fatta di ricchezza e profondità, talvolta esplicita, più spesso dal grande impatto simbolico.
Il messaggio custodito nelle sue opere è comunque sempre mirato all’indagine sull’animo umano e sulla sua dualità attraverso un percorso personale e professionale che non smette di evolversi e di rimettersi in gioco, creando soluzioni diverse senza la paura di non essere all’altezza delle aspettative.
Gerlanda sarà in mostra dal 26 ottobre con “Cover Up“, una mostra inedita dedicata alla rivisitazione delle copertine dei libri e dal 30 ottobre con “Una stanza tutta per sé“, collettiva che presenta il lavoro di 10 artiste su altrettante scrittrici.
In questa bellissima chiacchierata con lei vi presento il suo lavoro, l’intenso percorso professionale e qualche dettaglio in più sul suo modo di vivere l’arte.

Mi racconti da dove nasce la storia artistica di Gerlanda?
Potrei dirti che nasce all’età di 6 anni quando decisi di firmare Gerlanda di Francia il mio primo quadretto ad olio.
Ho sempre dato spazio alla mia vena artistica durante gli anni degli studi e anche dopo, realizzando perlopiù lavori su commissione, ma in realtà professionalmente credo sia nata più o meno 10 anni fa quando la curatrice torinese Rosy Togaci Gaudiano guardando i miei disegni decise di scommettere sul mio lavoro offrendomi l’opportunità di mettere su una mostra personale dal titolo “Little Ancient World”.
La mostra fu accolta molto bene e grazie al riscontro positivo e al supporto della curatrice decisi di continuare su questa strada.
Parlami della tua arte: cosa ti piace proporre, soprattutto? C’è un messaggio sotteso universale in ogni tua opera?
Quando creo un’opera considero sempre che chi la osserverà sarà un occhio esterno e diverso dal mio, con un bagaglio emotivo ed esperienziale differente.
Ovviamente in ogni mio gesto creativo c’è una logica emotiva personale, ma considero sempre come chi la sta guardando possa renderla sua.
La chiave di lettura delle mie opere non è solo mia, ma anche di chi la osserva, mutando sempre a seconda dell’esperienza soggettiva.
Il messaggio sotteso credo sia in maniera implicita l’indagine sull’animo umano universalmente inteso, nella sua dualità, nell’accettazione e l’accoglienza del proprio lato oscuro.

Cosa distingue il tuo modo di esprimerti da quello di altri tuoi colleghi?
Non credo di poter rispondere a questa domanda, forse l’osservatore, un curatore o un critico che abbia una visione più ampia può farlo.
Dal mio punto di vista ogni artista si distingue per una scelta stilistica, per caratteristiche formali o concettuali.
Personalmente posso dire che ho scelto, o meglio mi sono avvicinata, a una corrente artistica denominata “pop surrealism” in cui, per quanto si riscontra talvolta un linguaggio molto simile tra gli esponenti di questa corrente, io cerco sempre di mantenere un carattere stilistico costante e personale.
Al momento di cosa ti stai occupando?
Al momento sto realizzando una illustrazione che farà parte di una mostra collettiva che inaugurerà il prossimo 26 ottobre.
Il progetto si chiama “Cover Up” e nasce da un’idea di Rossana Calbi che sta curando la mostra in collaborazione con Serena Dovì e con il Book Lab della sua libreria, ovvero Risma, che si trova in Dulceri nel quartiere Pingeto a Roma.
Durante gli incontri del Book Lab sono stati scelti alcuni titoli da leggere e discutere assieme, Rossana Calbi ha invitato un artista per ogni libro selezionato a interpretare una copertina variant dei libri che hanno accompagnato il gruppo negli scorsi mesi.
Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?
Sono passati molti anni da quando ho cominciato a dedicare il tempo in maniera costante al mio lavoro artistico e ti confesso che inizialmente sono stata mossa molto dall’entusiasmo.
Quando mi si offriva l’opportunità di partecipare a un progetto artistico la voglia di mettermi in mostra era maggiore rispetto alla valutazione del progetto e quanto potesse realmente essere nella mia linea artistica.
In ogni caso ho sempre accolto volentieri le proposte che mi sono arrivate.
Oggi posso dire di scegliere di partecipare a un progetto solo se capisco di poter raccontare me stessa nel modo più naturale, sentendomi libera di interpretare il mio universo trovando connessioni con l’idea di base che mi viene proposta.
Hai un pubblico-tipo?
Fortunatamente no. Questa cosa mi fa molto piacere perché nonostante mi abbiano detto più volte che i miei lavori sono perturbanti, il mio pubblico o collezionista-tipo può essere un adulto come un adolescente, un appassionato d’arte come un neofita.
C’è una cosa che un’artista non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Sì penso ci sia.
Secondo il mio parere un artista deve cercare di non ripetersi o di non farlo mai per troppo tempo.
Bisogna mettersi alla prova e cercare di creare soluzioni diverse, senza avere il timore che il nuovo “prodotto artistico” non sia all’altezza del precedente.
È un rischio, ma è questo che segna il processo di crescita di un artista, la sua evoluzione.
L’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?
Adesso non saprei rispondere a questa domanda.
Quello che posso dire è che è un evento che sicuramente mi ha segnata e credo che l’esperienza di una pandemia globale sia assolutamente inedita e avrà sicuramente delle ripercussioni a livello emotivo nei miei lavori futuri.
Non essendo terminata l’emergenza, penso che la stia ancora elaborando.

Parlami di “Una stanza tutta per sé”, la collettiva di Up Urban Prospective Factory in cui esporrai un’opera ispirata a Beatrix Potter
È una splendida mostra curata da Rossana Calbi.
Come in “Cover Up“, di cui ti accennavo prima, anche qui sono i libri protagonisti del progetto.
L’idea di “Una stanza tutta per sé” è quella di creare delle connessioni tra scrittrici che hanno segnato la storia della letteratura mondiale, autrici di narrativa contemporanea e artiste figurative.
Quindi non è solo una mostra ma un progetto che unisce il lavoro di molte donne.
Io ho scelto di creare un’opera ispirata all’autrice inglese Beatrix Potter perché, sembra scontato, sono molto affezionata ad alcuni dei suoi animaletti e alle loro storie.
B. Potter oltretutto per me è l’ideale di artista per eccellenza. Studiosa di botanica e micologia (una branca delle scienze biologiche che si occupa dello studio dei funghi, ndr) ha saputo farsi strada da sola come scrittrice e illustratrice in un’epoca in cui le donne dovevano attenersi a ruoli familiari precisi.
Ha concepito l’editoria per l’infanzia come mai prima, rendendo economicamente accessibile la fruizione dei libri illustrati destinati a un pubblico giovane.
Per la mia opera ho scelto di affiancare un estratto dal suo diario segreto scritto in codice.
Sì perché lei tenne un diario per almeno 10 anni della sua vita elaborato in un codice che è stato decifrato solo 30 anni dopo la sua morte.
Nel brano che ho selezionato descrive un paesaggio surreale ricco di colori e personaggi fantastici, l’ho sentito molto affine al mio modo di immaginare.
Non esiste una versione italiana di questo diario, quindi ho chiesto alla traduttrice Alessandra Bava di tradurne il testo ad hoc per questa mostra.
Dunque si potrà leggere anche una inedita Beatrix Potter.
Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera
I miei progetti artistici, se parliamo in termini di mostre personali, sono ancora così pochi che non mi sento di affermare di andar fiera di uno in particolare.
Sono affezionata a tutti i miei progetti, ognuno per un motivo diverso, tutti perché hanno segnato delle tappe fondamentali nel mio percorso di crescita artistica.
Deve ancora arrivare il progetto che mi darà quella sensazione.
Non lo attendo con ansia, so che arriverà.
Mi descriveresti il lavoro artistico di Gerlanda Di Francia con un’immagine e con 3 parole?
L’immagine è una piccola pianta in germinazione.
Le parole sono: anatomia, anima, animale.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)