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#Intervista: Montanini e Bilanzone, “Teresa Santa, Puttana e Sposa”

Al Teatro Studio Uno andrà in scena il secondo capitolo della saga teatrale a puntate “Teresa Santa, Puttana e Sposa”. Scritta da Marco Bilanzone e diretta dal regista Lorenzo Montanini, sarà rappresentata dal 14 al 17 dicembre con lo spettacolo “La fanciulla che sgozzò il caporale con il coltello per tagliare la carne secca”, la parte più oscura e drammatica dell’intera serie.
Iniziato ad ottobre con il primo capitolo “Il debutto di Teresa al Cabaret”, “Teresa Santa, Puttana, Sposa” è definibile come un esperimento teatrale che ha saputo coniugare l’interazione con il pubblico e la narrazione breve mostrando uno spettacolo originale e di forte impatto emotivo.
Durante il primo step di un percorso che si articolerà in varie fasi drammaturgiche, lo spettatore ha avuto modo di conoscere i protagonisti dello spettacolo, mentre il cuore della narrazione ci ha dimostrato come ribelle sia l’amore ed il suo dolore.
A pochi giorni dal debutto del secondo capitolo di questa perfomance dedicata a Teresa Battista, eroina simbolo di libertà, coraggio ed emancipazione, una doppia intervista a Marco Bilanzone e Lorenzo Montanini invita il pubblico a lasciarsi attrarre da questa storia che lo stesso Lorenzo aveva voglia di raccontare almeno dal 2011, quando ne parlò per la prima volta a Marco.

Capitolo2_Teresa-santa,-puttana-e-sposa_-dal-14-al-17-dicembre_2017_Teatro-Studio-Uno_Roma_loc-1Cosa trovate di attuale nella vita di Teresa e degli altri protagonisti?
Marco Bilanzone: Dal primo all’ultimo capitolo, Teresa cambia luoghi, conosce persone diverse e vive esperienze differenti, ma non le si leverà mai di dosso lo stigma di puttana. È una storia di pregiudizi radicati quella di Teresa, di una donna che per tutta la vita si deve difendere da uomini che la vogliono schiavizzare, possedere, comprare. È una storia molto femminile, la storia di una lotta quotidiana per affermare la propria individualità e la propria libertà di esprimere i desideri, indipendentemente dalla “protezione” di un uomo.
Lorenzo Montanini: La storia di Teresa è sempre raccontata da qualcun altro, per sentito dire, per bocca di terzi. Fatti ed eventi realmente accaduti si confondono col mito, la leggenda e il pettegolezzo. I più recenti studi di neuroscienze ci dicono che la realtà e la rappresentazione che noi ne diamo coincidono e la storia che imponiamo sul reale diviene cosí più importante dei fatti stessi. Il rischio quindi è che nessuno sia responsabile per la narrativa – spesso completamente falsa – che descrive la nostra realtà quotidiana. Con la storia di Teresa facciamo il gioco inverso, utilizziamo questo modello di narrazione per raccontare un “mito” contemporaneo, una realtà difficile, dura, violenta, all’apparenza priva di salvezza e di speranza. Penso che le storie migliori siano quelle in grado di resistere ai confini geografici, ai tempi, alle circostanze e alla forma con cui vengono narrate, rivelandoci cosí quei tratti universali della nostra umanità, le nostre bassezze e le nostre virtù.

Scriveva il filosofo Paul Woodruff che il teatro è l’arte attraverso cui gli esseri umani rendono le azioni umane degne di essere osservate in un’unità di spazio e di tempo; ed è quello che cerchiamo – ambiziosamente! – di fare con “Teresa santa, puttana e sposa

Perché dividere la narrazione in capitoli?
LM: Quando vedo uno spettacolo che mi piace, all’uscita resto sempre con la voglia di sapere di più, con un desiderio di approfondire, di ricercare, di accrescere la mia conoscenza (che la storia sia vera o inventata poco importa). La nostra serie teatrale prova a rispondere a questa curiosità in altra maniera, senza intrappolare lo spettatore in uno spettacolo di 7-8 ore consecutive. Credo che a teatro gli spettacoli non possano essere ormai più lunghi di un’ora o poco più. Facciamo una serie perché sia lo spettatore a scegliere quanto tempo passare con noi, se vedere una puntata ogni due mesi, una puntata e basta oppure se passare l’intera giornata con noi quando a maggio faremo tutti i capitoli insieme, come quando esce una nuova serie e decidiamo a vederla tutta nel giro di una giornata.
MB: Perché il pubblico non va più a teatro? Colpa di Netflix? E noi vi facciamo il teatro seriale! Lo scopo è quello di approfittare del crollo di “House of Cards” per rivitalizzare il teatro.

Non avete avuto paura che usare il dialetto avrebbe potuto rappresentare un limite e non un valore aggiunto per lo spettacolo?
LM: L’italiano è una lingua inventata quasi a tavolino, per lo più letteraria. Pochissimi tra noi parlano sempre e solo italiano nella vita di tutti i giorni cosi come quasi nessuno scrive in dialetto. Perché rinunciare a questa incredibile ricchezza di registri e linguaggi diversi?
MB: La forma è sostanza, e in questo caso il dialetto è proprio forma e sostanza. Il pubblico deve spiare, origliare come dietro una porta o come sentisse una telefonata dal segnale disturbato, e poi ricomporre i pezzi, per venirne a capo. Ecco, questo chiediamo al pubblico, di spiare.

Una parola chiave per ognuno dei prossimi capitoli che si svilupperanno sul palcoscenico del Teatro Studio Uno, quale potrebbe essere?
LM: Un’avventura in cui i protagonisti sono spesso anche gli antagonisti, in cui i personaggi non hanno mai solo una faccia, una fiaba per adulti dove non ci sono buoni e cattivi ma un’umanità che lotta per sopravvivere contro le sopraffazioni e le ingiustizie.
MB: Una parola chiave per il prossimo capitolo sicuramente è “violenza”. È l’inizio di tutto ed è un inizio violento. Il capitolo inizia con una violenza e finisce con una violenza. In mezzo ci sono tutte le sfumature della violenza, quella dell’inganno, quella dell’invidia, quella delle maldicenze; violento è il linguaggio, violenti i desideri di tutti i personaggi, non si salva nessuno. Poi, per i prossimi tre capitoli si parlerà sicuramente di “amore” e infine il “ritorno” di tutto ciò che si credeva perduto.

The Parallel Vision ⚭ ­_ Raffaella Ceres)

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