“Salviamo i Talenti” è la rassegna voluta dal Teatro Vittoria che ha visto alternarsi sul palco, per quattro serate uniche, alcuni fra gli spettacoli più interessanti della giovane drammaturgia italiana. “Un uomo è un uomo”, spettacolo di Bertolt Brecht con la regia di Lorenzo De Liberato e la traduzione di Giulia Veronesi, ha ipnotizzato la platea durante la terza serata dedicata alla manifestazione e mercoledì sera ha trionfato durante l’ultimo appuntamento con il concorso del Vittoria.
Rendere il teatro di Bertolt Brecht fruibile da un pubblico eterogeneo è un’impresa non semplice. È una scommessa culturale che solletica ed affascina le menti più talentuose e che stavolta è stata vinta con rara bellezza da Tiziano Caputo, Matteo Cirillo, Alessandro De Feo, Agnese Fallongo, Lorenzo Garufo, Stefano Patti, Arianna Pozzoli, Bruno Ricci, Mario Russo (disegno luci di Matteo Ziglio, scene di Laura Giusti e musiche eseguite dal vivo da Tiziano Caputo e Mario Russo), che hanno portato sul palco del Teatro Vittoria le vicende narrate in “Un uomo è un uomo”.
Accademicamente la teoria teatrale di Brecht conferisce un compito didattico, politico ed istruttivo al teatro: l’attore deve recitare in modo critico e distaccato per permettere allo spettatore di poter recepire il messaggio senza coinvolgimenti eccessivi, in modo da riflettere, criticare costruttivamente, rifiutare i condizionamenti della società e rendere possibile il miglioramento e la trasformazione dell’uomo.
Lorenzo De Liberato ha curato la regia di una piéce teatrale che non solo è stata in grado di rispettare i parametri sopra descritti ma ha saputo dare alla scena un abito di tragica contemporaneità incalzando il pubblico fra momenti di ironia-comicità e attimi di inquietanti riflessioni mai eccessivamente rimarcate ma rese indelebili.
“… E che uno sia come altri lo vogliono è tanto semplice ”
“Un uomo è un uomo“, scritto nel 1926, descrive le avventure di Galy Gay, scaricatore di Kilkoa, che prenderà l’identità di un soldato britannico e si comporterà in modo imprevedibile dopo aver incontrato Uria, Jesse e Polly, soldati dell’esercito inglese. I due atti della rappresentazione sono stati caratterizzati da una chiara scelta stilistica che rovescia quasi totalmente il ritmo della narrazione fra un atto ed il successivo.
Le scenografie apparentemente essenziali si dispiegano, come ali di gabbiano, svelando l’ampiezza delle scene descritte. È un procedere lento quello della prima parte dello spettacolo che permette agli attori di impadronirsi della storia e di caratterizzarne ogni protagonista.
La tragica vicenda di Galy Gay interroga le coscienze sul tema dell’identità. Cosa siamo disposti a perdere di noi stessi se messi in una condizione di grave difficoltà? Siamo davvero qualcosa di definito? Oppure ci troviamo a metà di un centro relativo, così come suggerito dallo stesso Brecht?
È il secondo atto dello spettacolo che abbandona la leggerezza della semplice narrazione per lasciare spazio ad un rapido crescendo di eventi che porterà a compimento il processo di cambiamento di identità di Galy Gay, novello Jep della compagnia di soldati britannici. Il respiro fra una battuta e l’altra diventa talmente corto che il precipitare degli eventi non lascia spazio a nulla che non sia un ricercato senso di sgomento.
“Un uomo è un uomo” è una dichiarazione di guerra contro l’indottrinamento e la retorica da quattro soldi. Bravi tutti gli interpreti ai quali è affidato un compito difficile: sbilanciare il baricentro secondo il quale siamo pronti ad asserire che l’identità è un bene da non barattare. Un uomo tranquillo, recitano i protagonisti, può tranquillamente avere tre o quattro opinioni. Ad ognuno dunque la scelta se essere Uomo o divenire Un Uomo.
( The Parallel Vision ⚭ _ Raffaella Ceres)
(Foto: © Andrea Calandra – www.andreacalandra.com)