#LiveReport: Vinicio Capossela in concerto alla Casa del Jazz

Per celebrare i 30 anni di carriera, alla Casa del Jazz Vinicio Capossela mette in scena un’antologia confidenziale.
Nel placido polmone protetto dalle mura aureliane, il cantautore pangermanico disegna un’atmosfera nottambula e viaggia nel tempo assieme ai sodali complici dei primi dischi, trasformati in personali ed eccezionali standard.
Nel suo viaggio gira al contrario le lancette dell’orologio, come in quel famoso film di Fincher.
Ripercorre la strada battuta nella gioventù infuocata con il senno accorpato e smagliante di chi, nel frattempo, ha attraversato il mondo e ne ha creati altri 100.
Vinicio Capossela: il concerto alla Casa del Jazz
La scaletta trasuda l’immaginario asfaltato e colorato della trilogia inquieta: “All’una e trentacinque circa”, “Modì” e “Camera a Sud”.
Sul palco prende corpo il racconto di quell’epopea beat, di quelli che non si arrendono mai e, se si arrendono, lo fanno in grande stile.
Canzoni sedimentate, pre-biografiche, scritte ad anticipare la vita quando ancora ci si faceva pace e si urlava in piedi sui letti e si divorava “a fauci aperte come l’aria che passa più rovente tra i denti“.
Canzoni amalgamate in materia da cui, almeno all’inizio, è necessario prendere distacco con gli occhiali da sole.
Come quegli amori che vanno oltre la vita, “convinti che sia proprio la vita a porvi rimedio“. E invece.
Ad accompagnare il cantante stradale 4 musicisti che sulle spalle portano la memoria di quei lampi di biografia:
- Giancarlo «João Gilberto» Bianchetti alla chitarra, che inghiotte tutto il suono del ferro e lo risputa come un soffio
- Antonio Marangolo il saggio del sassofono
- l’amico ingrato Enrico Lazzarini al contrabbasso, “ché nella vita bisogna cominciare dal basso, e io sono andato ancora più sotto“
- Zeno De Rossi alla batteria elegante

Tra Piazzolla, Bukowski, Stanley Tucci e Bruno Martino
“Resta con me” e “Stanco e perduto”, canzoni prime, accendono il viaggio.
“Scivola vai via”, rigorosamente introdotta dalla versione italiana di “Nocturno a mi barrio”, mitologico mix tra Astor Piazzolla e Anibal Troilo, riporta il pubblico al fragore di “Live in volvo”.
La rapsodia e i vortici seccano la notte umida come i superalcolici da motel.
“Pongo sbronzo” tinteggia le pareti alberate del parco di una vernice acida, riaprendo i fogli stropicciati degli ultimi del taccuino di Bukowski.
È musica per e-stradati e – con un briciolo di autoironia del cantautore – giovani vecchi, che si consumano come mozziconi, nostalgici dei vecchi amori e persi nella notte come i sogni.
Il concerto riavvolge le lancette fino “All’una e trentacinque circa”. L’album si sfoglia placidamente, tra i sorsi di vino.
Riecheggiano Tom Waits e John Fante, Louis Prima e Stanley Tucci. Canzoni per lunatici, per chi preferisce l’ultimo amore al primo, per chi è l’effetto dei peggiori amici e porta il chloralit in tasca.
Capossela riassume un momentum biografico e ne ammoderna l’eternità. I brevi interventi nel reale e i repentini graffi del reale vengono conditi da aneddoti e storie moquettate.
In un’atmosfera così rarefatta c’è pure lo spazio per un’invettiva contro l’estate, “questa stagione umiliante che ci costringe a mettere sandali e bermuda a quadri“. “Odio l’estate” di Bruno Martino, “pezzo che hanno ripreso tutti, persino io“, ferma le lancette.
Non è un attimo prima, non è un attimo dopo.
Invernale e notturno
D’altronde è sempre stato un cantante invernale. Invernale e notturno. La notte e il tempo che, secondo il proverbio, “non si è mai sposato per poter fare quello che vuole“, sono i padroni dello sfondo.
Il tempo è alterato, ribaltato, allungato, dilatato. Anche quando la notte non viene nominata ci sono le allusioni che fanno rivivere al pubblico sogni e ricordi, rigagnoli danteschi e soggettive disarmanti.
Poi un nuovo sussulto, un balzo in avanti. Capossela dà spazio a chi, per biografia, si è messo in strada più tardi, come Irene Sciacovelli.
Ché la sorte dei musicisti è la stessa e chi arriva prima lo sa.
Ma rende anche la grazia degli omaggi e rievoca il beat di Jack Kerouac e le ali spezzate di Jeff Buckley con un brano pieno di vetri rotti dalle capitolazioni di “Non si muore tutte le mattine”.
Un titolo che è una massima di Renzo Fantini – ricordato più volte durante la serata – che a chi consumava la vita come le macchine vecchie ricordava che “non è che si muore proprio tutte le mattine“. That’s beat.
Quello di “On the road” e di Tondelli, delle cartoline saturate di geografie impensabili e dei locali di epifanie e balera, come il Florida.
Poi, con l’esaurirsi del lusso della gioventù, il punto di vista si è ampliato e si è concentrato sull’uomo nella sua accezione più verticale, sul fuoco del racconto letterario.

Un jazz che procede per divinazione
Da questo secondo momentum Capossela pesca “Pryntil”, rifacimento in musica della «fiaba senza lieto fine» di Louis Ferdinand Céline “Scandalo negli abissi”, celebrando i 10 anni del disco ciclopedico “Marinai, profeti e balene”, compiuti nel 2021.
Un vero e proprio pezzo di jazz quello di Céline, come scriveva Ernesto Ferrero. Un jazz, quello di Capossela, che procede per divinazione e giocando con le lancette prova a ricreare un eterno presente.
Un jazz che non è solo spazzole e soli ma è anche tripudio e fracasso, come in “E allora mambo” e “Che coss’è l’amor”.
Il peso emotivo del finale è retto quasi interamente da una memorabile versione di “Solo per me” e dal bis di “All’una e trentacinque circa”.
In mezzo l’omaggio dialettale a Roma, lasciato alla voce di Sabrina Impacciatore e alle parole di Gioacchino Belli. E 2 inediti, “Ariosto governatore” e “Il tempo dei regali”.
Pur muovendosi nel campo scelto e levigato dei suoi standard, Capossela è sempre un rivendicatore di complessità.
Così, nel suo personalissimo “Round about midnight” dell’interland, ritorna al passato “non con nostalgia, ma con gratitudine“.
Come in quel famoso film di Fincher.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Daniele Sidonio)
(Foto: © Simone Cecchetti)