#Recensione: “Il viaggio di Orfeo”, lo spettacolo al Parco della Caffarella

Se lo scorso 27 maggio ho scelto liberamente di uscire di casa e recarmi al Parco della Caffarella alle 17, con 35°C e quello che sembrava essere il 99,9% di umidità percepita, allora vuol dire che ne doveva valere davvero la pena!
Ma io questo non lo sapevo ancora.
C’è stata una specie di spinta invisibile, ma potente.
Un filo immaginario che mi ha pian piano condotta in quel posto senza sapere cosa c’era ad attendermi.
Può suonare un po’ mistico, ascetico e spirituale… Eppure non so spiegarlo meglio di così.
“Il viaggio di Orfeo”: lo spettacolo al Parco della Caffarella
A caratterizzare questo viaggio è stato proprio questo alone di mistero che è iniziato ancor prima dell’evento stesso.
Mi spiego meglio: fino al momento di accettare l’invito non mi era dato sapere il luogo dell’incontro.
E una volta confermata la partecipazione, mi è stata comunicata una parola d’ordine necessaria all’arrivo: “PEHEA KA LA“.
Sono subito andata a ricercarne il significato: è un’antica espressione hawaiana che significa “come sta la tua luce?”.
Cosa voleva dire?
Avevo appena accettato l’invito e già ero immersa e arrovellata nella questione.
Di fatti la locandina riportava scritto: “Se stai leggendo, è già iniziato”.
“Il viaggio di Orfeo” è il titolo di questo percorso teatrale sensoriale, che nasce dall’idea di Linda Di Pietro e Antonella Alfano con la collaborazione di Alice Gabellini e tenutosi nei sotterranei di Roma all’interno del Parco della Caffarella.
Protagonisti sono stati Marica Cotognini, Valentina Daneo, Ilaria Fantozzi, Cristiano Leopardi, Marta Nuti, Gisella Xaxe Secreti e Francesca Vignali.
L’intento del progetto è quello di “ricreare” un cammino fino all’Oltremondo, dove vivere e immaginare accadono nello stesso momento.
L’esperienza era consentita a pochi viaggiatori alla volta per permettere a ognuno una vera analisi e conoscenza del proprio Io, traendo ispirazione dal Mito di Orfeo ed Euridice.
Una volta arrivata all’ingresso del parco che era indicato nell’enigmatico invito mi è sorto un dubbio: “Sì, va bene. Ma da che parte bisogna andare?”.
Così si è deciso di procedere, almeno all’inizio, un po’ a sentimento.
Poco più avanti si cominciavano a intravedere alcune piccole locandine appese sporadicamente su qualche albero, ma senza indicazioni precise o frecce direzionali.
Fortuna che Fabrizio, il mio compagno di viaggio, ha uno spiccato istinto in fatto di orientamento. Almeno lui.
Siamo arrivati in prossimità dei sotterranei di Roma, ex cava romana dell’Appia Antica.
Ad accoglierci c’erano 2 donne con un mantello che ci hanno chiesto la parola d’ordine e, chiaramente, io non l’avevo memorizzata.
Dietro di loro c’era un piccolo gruppo di persone alle quali ci siamo uniti.
E al suono di “Andiamo, viaggiatori” siamo stati condotti davanti l’ingresso della cava.

Dentro la grotta: inizia il viaggio
Alcune ninfe ci hanno accolto esibendosi nella narrazione di un breve racconto che dava la percezione si stesse parlando di ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo nell’attuale momento storico.
Ma non ho avuto il tempo di approfondire questa “vaga idea” giacché siamo stati subito condotti alla tappa iniziale del nostro itinerario.
Ognuno di noi ha pescato dall’interno di una cesta coperta una tra le catenine che vi erano riposte.
Queste collane avevano come ciondolo una pergamena arrotolata.
Una di queste era diversa dalle altre: aveva un fiocco rosso attorno. L’ha pescata Fabrizio. Una delle 2 donne col mantello lo ha apostrofato: “Tu, viaggiatore: sei l’Eletto. Compirai il viaggio da solo” e lo ha portato con sé all’interno della cava.
Perfetto, ero rimasta senza la mia bussola umana. Sarei rimasta per sempre bloccata nei sotterranei.
Poco dopo siamo entrati anche noi, i “non eletti”.
Innanzitutto è stato meraviglioso, dopo una manciata di metri, passare da 35 a 14 gradi. Libidine.
Eravamo nel gelido Oltremondo.
I sotterranei non erano stati allestiti da scenografie. La flebile luce era data soltanto da poche fiammelle accese, quelle che bastavano a indicarci la strada.
Tutti i personaggi che avremmo incontrato in quel viaggio si sarebbero espressi attraverso la poesia perché, come nel mito di Orfeo, è essa a condurre i viaggiatori attraverso le tenebre.
La prima azione da compiere era srotolare la pergamena che portavamo al collo e sciogliere l’enigma in versi che vi era scritto.
Non è stato immediato, non tutti sono riusciti a trovare la parola. L’indovinello sembrava parlare di qualcosa di figurato e materiale allo stesso tempo.
Ad aiutarci c’erano gli abitanti dell’Oltremondo che abbiamo potuto interrogare.
Una galleria di quadri parlanti
“Il viaggio di Orfeo” non è uno spettacolo teatrale, lo definirei più che altro un “percorso a tappe”.
Mi spiego meglio: gli attori non interagivano tra di loro e non condividevano gli stessi spazi.
Ogni personaggio si trovava in una “nicchia” della cava, come se fossero all’interno di una cornice.
Ecco, sembrava di essere in una galleria di quadri parlanti.
Lo stile recitativo era prettamente declamatorio.
La Sibilla e Caronte
Il primo “quadro” che abbiamo incontrato è stato la Sibilla.
La quale, di rosso vestita, mentre si trovava in balìa di una delle sue visioni profetiche ci chiedeva la soluzione del nostro enigma. Solo dopo averle dato la risposta corretta avremmo potuto proseguire oltre.
A pochi metri sedeva Caronte intento a giocare con delle minuscole barche di carta che galleggiavano su di un piccolo specchio d’acqua. Le faceva scorrere a destra e sinistra generando delle onde.
Il Traghettatore, con il suo monologo, ci invitava ad abbandonare il peggiore tra i difetti terreni: il giudizio.
Solo in tal modo avremmo potuto intraprendere il viaggio liberi da ogni costrutto e preconcetto.

Ade ed Euridice
Infine Ade ed Euridice, gli ultimi 2 personaggi dell’Oltremondo che abbiamo incontrato, ci hanno rivelato come la vita, esattamente come il mito di Orfeo, non sia altro che un alternarsi di luci ed ombre.
E così noi “viaggiatori”, grazie al cammino nell’oscurità, saremmo potuti tornare in superficie con uno sguardo nuovo, in grado di fare luce nel buio.
Ed è stato proprio in questo momento che la parola d’ordine “PEHEA KA LA” ha assunto un senso.
Il monologo di Euridice è stato, a mio parere, quello che ha generato più trasporto emotivo rispetto agli altri.
Non stava soltanto declamando dei versi ma ci stava facendo partecipi del suo dolore. Lo stava condividendo.
Un’attrice bellissima, vestita completamente di bianco, i cui occhi azzurri sembravano fare luce in tutto quel buio.
Un assolo straziante, la sua tristezza struggente, il suo cuore spezzato, quelle lacrime che brillavano nella tenebra.
Mi era venuta voglia di andare ad abbracciarla forte.
L’uscita dall’Oltremondo
All’uscita dei sotterranei era stato posto un grande quaderno su cui era chiesto di scrivere cosa aveva lasciato in noi quel viaggio.
Sarebbe stato bello sapere cosa aveva percepito ogni viaggiatore. E sono certa che ciascun pensiero sia stato unico e diverso dall’altro.
Perfetta l’associazione tra sotterranei e Oltremondo.
È proprio così che l’avrei immaginato: buio, labirintico e freddo.
Queste 3 caratteristiche hanno fatto sì che si acuissero l’udito e la vista.
E poi il clima così freddo ha contribuito a rendere l’idea di essere stati catapultati, in pochissimo tempo, in un altro mondo e in un altro tempo.
All’inizio ho detto che a coinvolgermi in questo viaggio è stata l’atmosfera misteriosa. Ma un grandissimo valore aggiunto è stato dato anche dall’ambientazione, suggestiva all’inverosimile.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Myra Verdura)