#Intervista: Aloise, “mai dimenticare che l’arte ambisce all’eternità”

Al timone della White Noise Gallery dal 15 marzo 2014 assieme a Carlo Maria Lolli Ghetti, Eleonora Aloise ha fondato questo importante spazio appartenente al tessuto culturale capitolino per “dare voce a una moltitudine di idee, lontanissime fra loro nei metodi e nei mezzi, per comporre un grande archivio del tempo presente“.
Dalla prima sede a San Lorenzo fino al passaggio, nel 2018, in Via della Seggiola (traversa di Via Arenula), WNG rappresenta uno spazio di sperimentazione aperto alle sfumature del contemporaneo.
A pochi giorni dall’ottavo compleanno della galleria, Eleonora mi ha raccontato la storia della sua creatura, le trasformazioni vissute negli anni e i ricchissimi progetti in cantiere per i prossimi mesi.
Mi racconti da dove nasce la storia artistica di Eleonora?
Da bambina vedevo l’arte come una sorta di superpotere incredibile della mente e delle mani.
Lo scontro con le avanguardie, poi, è stato un po’ come ascoltare tutta la vita Beethoven e poi scoprire i Beatles.
Ho capito che pur usando le stesse note si potevano fare rivoluzioni.
L’arte contemporanea, infine, è stata l’enorme opportunità di essere parte attiva di un processo storico.
Parlami del tuo modo di proporre arte: cosa ti piace presentare, soprattutto?
Prediligo tematiche legate alla comprensione del presente e artisti che con caparbietà e sfrontatezza propongono un’idea di futuro.
Non provo interesse per le ricerche autoreferenziali, formalmente perfette ma lontane anni luce dalla vita reale.
Sono come risposte a domande che non riguardano nessuno.
La mia attenzione viene catturata da una certa ruvidezza che è propria dei tentativi, dalla capacità di sintetizzare pensieri complessi, da una pratica artistica che vuole essere un linguaggio nuovo ma comprensibile, non una sorta di atto di fede.
In ultimo, cerco sempre quella sottile malinconia dell’unicità.
C’è qualcosa che distingue il tuo modo di promuovere la cultura da quello di altri tuoi colleghi?
Una cosa che non ho mai dimenticato nel tempo è che pur essendo un’attività commerciale privata forniamo un servizio pubblico gratuito.
Raccontare in prima persona a chiunque entri in galleria i nostri progetti è un piacere, ma anche un piccolo dovere verso la collettività.
Raccontami di White Noise Gallery. Come nasce e con quale scopo?
La galleria è nata dalla necessità mia e di Carlo Maria Lolli Ghetti di creare uno spazio di sperimentazione che fosse aperto il più possibile alle sfumature del contemporaneo.
Proprio per questo il nome, White Noise, viene dal fenomeno fisico in cui tutte le onde dello spettro convergono.
Volevamo dare voce a una moltitudine di idee, lontanissime fra loro nei metodi e nei mezzi, per comporre un grande archivio del tempo presente.
Hai una squadra di collaboratori con cui lavori?
Io e Carlo abbiamo la fortuna di lavorare con Chiara Garlanda che è la nostra gallery manager praticamente da sempre.
Nel tempo ci siamo avvalsi di diversi collaboratori e collaboratrici, ma il nucleo centrale siamo sempre stati noi 3.
Cosa avete in programma di portare avanti, per i prossimi mesi?
Nel futuro prossimo avremo 2 mostre:
- “Fate & Fortune”, doppia personale di Richie Culver e David Hanes che inaugureremo il 26 marzo. Come suggerisce il titolo, verterà sull’impossibilità di controllare il proprio destino, ma senza smettere di avere ostinatamente fiducia nel futuro
- In primavera avremo la personale di Cristiano Carotti, con un suo straordinario ritorno alla pittura dopo anni dedicati alla ceramica
La White Noise Gallery è uno spazio culturale prezioso perché…
Non dovrei dirlo io, probabilmente!
Per me, specialmente per la comunità che si è creata intorno alla galleria.
Lavoriamo con artisti che sono prima di tutto persone di straordinaria umanità.
Che a loro volta hanno generato un circuito eterogeneo e coinvolgente, sia di pubblico che di addetti ai lavori.
Poi, siamo tra le gallerie che si assumono più rischi in assoluto e questo senso di incoscienza si è rivelato un formidabile aggregatore.
Per esempio, quando abbiamo postato il video del gigantesco portale in alluminio di Nelson Pernisco allestito per il nostro esordio ad Artissima, abbiamo ricevuto tantissimi messaggi di supporto come se la riuscita di quella impresa titanica fosse una vittoria anche per loro.
È stato molto bello.

Anticipaci qualche sorpresa che il pubblico troverà nella tua galleria
Molte delle nostre sorprese avverranno fuori dagli spazi della galleria, ma una sorpresa è una sorpresa!
Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?
Ho iniziato poco più che 20enne lavorando in diverse gallerie e oggi ho 38 anni.
Il calcolo impietoso lo lascio a te!
Nel tempo è cambiato praticamente tutto: da ciò che mi interessa a un modo più istintivo di compiere le mie scelte, forse rafforzata dall’esperienza o dall’incoscienza di cui parlavo prima.
È un processo di cambiamento continuo.
La fatica principale è non ostacolarlo per spirito di autoconservazione.
Hai un pubblico-tipo?
Non ho un pubblico tipo.
Come dicevo, forse la nostra natura eterogenea ci ha consentito di raggiungere uno spettro ampio di persone.
C’è una cosa che secondo te un artista non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Non deve dimenticare che l’arte ambisce all’eternità.
L’opera deve funzionare sempre e ovunque, non solo qui e ora, con l’illuminazione perfetta nelle perfette stanze bianche di una perfetta galleria.
Molti lavori una volta spenti i riflettori e tolti dal contesto si sgretolano concettualmente, rivelando la loro inconsistenza.
Quello che va fatto è dare retta alla gallerista, ovviamente! 🙂
E un curatore?
Non dovrebbe mai prevaricare l’artista, ma provare a essere il suo argine.
L’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?
Moltissimo. Le gallerie sono totalmente dipendenti dalle fiere, comparto che è stato prima azzerato e anche oggi a distanza di mesi subisce ritardi e rinvii.
Da un punto di vista politico non si è innescata nessuna misura a sostegno del nostro settore.
La verità è che stiamo ancora tutti annaspando cercando nuovi modi per superare i prossimi 2 anni.
Dall’altra parte l’emergenza ha contribuito a generare una nuova massa critica.
Caso scuola è la nascita di numerosi spazi indipendenti.
In questo senso ha rafforzato il bisogno di confronto e di una progettazione comune.

Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera
Scegliendo fra i più recenti, direi “Quello che non ricordi diventi” con Luca Grimaldi e Fabio Ranzolin.
Un’analisi emotivamente molto forte sulla nostalgia delle nuove generazioni per la decade degli anni ’90.
I giovani di oggi nascono e crescono endemicamente più vicini alle tematiche sociali, come l’inclusività, il ruolo femminile e i diritti della comunità LGBTQI+.
Eppure hanno ripreso la moda e le icone di una decade estremamente misogina e contraddittoria.
Segnata ancora dalla ghettizzazione della comunità omosessuale a causa dell’ignoranza sull’Aids, la nascita del Berlusconismo, l’utilizzo becero del corpo femminile nelle tv commerciali, fino alle stragi di mafia.
Eppure quella decade – stretta fra la caduta del muro di Berlino e l’11 settembre – viene percepita come l’ultimo momento di boom economico e possibilità di futuro.
È come se non potendo contare sul presente si mettessero la divisa del loro nemico, incoscienti di essere loro le prime vittime delle distorsioni di quel momento storico.
In più, i ragazzi vivono in un’interminabile bolla di attesa del loro turno.
Gli viene richiesta una perenne formazione che li convince di non essere mai abbastanza pronti.
Rimandando all’infinito quei riti di passaggio come comprare una casa o mettere in piedi una famiglia, diventando vecchi senza passare per l’età adulta.
Luca e Fabio hanno parlato di e per i loro coetanei, con grande ironia e profondità.
Al momento di cosa ti stai occupando / cosa stai pianificando per il futuro?
Stiamo cercando di innovare il nostro lavoro aprendolo sempre di più a luoghi e contesti nuovi, fuori dai locali della galleria.
Specialmente dopo la bellissima esperienza della mostra “ORA“, che abbiamo curato all’Ambasciata italiana presso la Santa Sede.
È stato ancora più evidente che la forma tradizionale di galleria ha degli ovvi limiti legati all’architettura.
I progetti ad oggi vengono adattati al nostro spazio e stiamo tentando di fare l’opposto: lavorare assecondando le loro necessità.
Anche questo rientra nell’assenza di zona di comfort che ci appartiene, vedremo cosa succederà!
Mi descriveresti il lavoro di curatrice di Eleonora Aloise con un’immagine e con 3 parole?
Illuminismo e avvitatore.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)