Fino al prossimo 6 ottobre sarà possibile applaudire, nella splendida cornice del Silvano Toti Globe Theatre, il “Giulio Cesare” di William Shakespeare curato dalla regia di Daniele Salvo che, attraverso un meticoloso lavoro di analisi su tutti i protagonisti della tragedia shakespeariana, descrive con toccante incisività il declino a cui è condannata una società che non è in grado di discernere fra i valori malati e il bene comune.
Una scenografia essenziale eppure maestosa, movimenti scenici coinvolgenti quanto intensi nella coralità dei gesti mostrati, una scelta minuziosa di ruoli assegnati: il “Giulio Cesare” tradotto e adattato dallo stesso Daniele Salvo, convince per l’imponenza registica e l’estrema chiarezza drammaturgica proposta, che permette al pubblico di immergersi fra le righe di un capolavoro di imperitura valenza.
“Guardati dalle Idi di Marzo”! Si apre così il viaggio sul palcoscenico romano di Giulio Cesare interpretato da un incredibile Massimo Nicolini, fra le parole di un destino già segnato affidate a un indovino. Un monito, una metafora che traccia il confine tra fato e consapevolezza.

La tragedia in versi e in prosa in 5 atti di William Shakespeare rappresenta un unico conflitto, sia a livello personale che politico. Scritto sul finire del 1500, “Giulio Cesare” è un capolavoro che intreccia eventi storici a una spietata analisi sulle contraddizioni tra il fine e il mezzo. Non si tratta di stabilire o ristabilire la grandezza dell’imperatore romano, quanto di indagare sul ruolo di una leadership politica che non accetta contraddittori, sulla dittatura che azzera le uguaglianze fingendosi amica della moltitudine e sul tormento di chi non si arrende al declino dei valori e della società.
Esplicito il riferimento al fascismo ad opera di una elegante commistione stilistica fra epoche lontane grazie ai costumi di Daniele Gelsi. Interessante e sempre di grande impatto emotivo la capacità di usare l’intero spazio del teatro elisabettiano nel cuore della Capitale e, nel “Giulio Cesare”, le scene corali, che sono molte e di estrema intensità, rappresentano una vera e propria occasione di incontro con il teatro immersivo.
Vi sembra di ritrovare, in questa mia prima analisi, dei temi noti alla sconvolgente attualità? Bene, l’effetto che si ha durante l’intero spettacolo è esattamente questo: lo stordimento per una storia che non ci ha insegnato nulla, per un’ideologia fascista che ancora serpeggia e che forse non è mai stata esiliata dal nostro Paese, come ci invita a riflettere Daniele Salvo nelle sue note di regia che arricchiscono tutta la lettura della drammaturgia proposta e che sarebbe bello divulgare maggiormente lasciando alle parole del regista il doveroso spazio.
“Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie; sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio. Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto assieme alle loro ossa”.
È Bruto a pronunciare queste dolorose e celebri parole dopo la morte del dittatore. È Bruto a vivere l’angosciante dramma di colui che per celebrare la libertà, l’uguaglianza e la possibilità di riscatto compie, insieme a un gruppo di congiuranti, il gesto più infame che un uomo possa compiere: l’omicidio. Dove finisce il male? Dove inizia il bene? Arriva un tempo in cui l’uomo è padrone del proprio destino, in cui non le stelle ma ciò che vogliamo e costruiamo è l’unico dato oggettivo al quale fare riferimento per lottare e investire nel bene comune.
Gianluigi Fogacci ha reso in maniera eccelsa un Bruto che non ha paura di mostrare timori, passione e tenerezza. Non si tira indietro rispetto alla causa del riscatto della democrazia ma vive il tormento di un gesto che non ha ritorno.
“Epoca nostra, vergogna!”
Tutti incredibili i 28 protagonisti in scena che, con l’ausilio di maschere in lattice, riproducono perfettamente le fattezze umane e rivestono i 45 diversi ruoli del “Giulio Cesare”. I canti eseguiti dal vivo da Melania Giglio, per l’occasione nel doppio ruolo di Portia e del Destino, si stagliano sulle gesta dei suoi colleghi come tempesta impetuosa.
Scrive Daniele Salvo: “Nel settembre 1962 Pier Paolo Pasolini definisce il fascismo come normalità, come codificazione, allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società”.
Non potevo non riportare per intero questa preziosa testimonianza a conclusione della mia analisi dedicata a uno spettacolo che merita l’applauso più caloroso per il coraggio di raccontare l’orrore dell’attuale status quo. Il consumismo ha annichilito qualsiasi volontà di potenza, la ricerca di consensi più o meno reali (e mi riferisco anche ai social) ha generato una totale perdita di analisi critica e dell’abilità di discernimento fra ciò che viene pilotato e filtrato e ciò che nasce della nostre coscienze e, soprattutto, conoscenze.
Assistere allo spettacolo del “Giulio Cesare” è rendere omaggio a chi non si arrende alla deriva. Della nostra amata Città Eterna e del sistema sociale intero.
“Quando c’è l’abuso di potere? Quando manca la pietà”
(© The Parallel Vision ⚭ _ Raffaella Ceres)