I Panta hanno riportato il pogo sottopalco in un concerto indie. Una cosa che non vedevo da anni. E la colpa è stata di “Incubisogni” (MEI/Goodfellas), il loro primo splendido album intriso di rock, di new wave, di poesia. Un lavoro che porta la firma di Carlo Martelli, Valerio Cascone e Steve Lyon, autori assieme a Davide Panetta (basso), Giulio Carlo Pantalei (voce, chitarre, tastiere), Leopoldo Lanzoni (chitarre) e Liberiano De Marco (batteria) di un sound importante che miscela ottime melodie, testi ricchi di riferimenti letterari e suoni di grande spessore che si fregiano di una ricercatezza fino ad ora dimenticata.
Giulio Pantalei, fondatore di questa ottima realtà romana, mi ha raccontato qualcosa in più di una creatura artistica nata tra Roma, Lucca, Parigi e Londra, della sua passione per la musica e la poesia anglosassone, di David Bowie, della scoperta della meditazione trascendentale e di come, alla fine, la nascita dei Panta sia tutta colpa di David Lynch…

“Incubisogni”, già dal titolo, porta verso il dualismo. Quindi intanto ti chiedo quante anime ci sono in questo disco.
Parecchie! Sicuramente 3: incubi, sogni e bisogni. C’è il nostro animo profondamente rock, ma declinato in 2 modi diversi. Prima ci sono i sogni e poi chiudiamo con gli incubi, anche se questi finiscono con “Prima“, il singolo che riavvolge un po’ il nastro come ogni tanto fa l’inconscio. Per poi finire con un “principio di realtà” con cui affrontare gli incubi ma anche i sogni. Abbiamo cercato di attraversare tutte e 2 le cose.
E riavvolgendo il nastro dei Panta: come tutto questo è iniziato?
In questo c’entra tantissimo David Lynch, anche personalmente. Perché tutto è nato dal mio incontro con lui a Parigi, nonostante la storia iniziò a Lucca dove ricevetti l’indirizzo di una galleria d’arte da visitare nella capitale francese. A quell’indirizzo poi non c’era nessuna galleria. O meglio: chiedendo un po’ in giro sono arrivato a sapere che un posto del genere c’era, anche se non esposto al pubblico. E sai cos’ho scoperto? Che lì dentro nacque la tecnica della serigrafia e della litografia in occidente. Un luogo frequentato da Paul Klee, da Picasso… E il direttore mi fa: “Guarda non so se posso farti entrare perché c’è Lynch che sta incidendo“!
E sei riuscito a parlarci?
Ho avuto questa mezz’ora di conversazione con lui, che assieme a David Bowie è uno dei miei fari assoluti e sono venuto a sapere che a Roma c’era Fatima Franco, una delle più brave insegnanti di meditazione trascendentale al mondo, una cosa che desideravo iniziare a fare. A quel punto si è sbloccato tutto un potenziale creativo che prima avevo solo “in potenza” ma che stava sotto una coltre di paure, incubi e altre cose che tendevano al negativo. Dopo questa fase, quindi, sono nati i Panta e ho scritto “Poesie in forma di rock” (Arcana Edizioni, ndr). Quindi continuo felicemente a meditare ogni giorno!
“Incubisogni” è nato in un momento preciso o è una sorta di summa di questi anni?
Una summa, assolutamente. Noi abbiamo iniziato come live band perché già avevamo un po’ di pezzi che per noi significavano qualcosa. E volevamo vedere se effettivamente potevano avere un riscontro di pubblico. Questo per fortuna c’è stato. Non con grandissimi numeri, ma si sviluppavano comunque rapporti “orizzontali”, cioè non da band-pubblico, ma da pari a pari. E in questo modo abbiamo conosciuto tante belle persone. A un certo punto, poi, l’immaginario si è sempre più definito e sommando tutto abbiamo deciso di trasformarlo in un album vero e proprio, un po’ concept: il confronto tra queste 2 anime, come dicevamo prima. Da appassionato di psicologia, questa funzione del super-ego di riavvolgere il nastro c’è e quindi lo si può percorrere in un modo o in un altro.
Non solo Lucca e Parigi, ma anche Roma e Londra: come siete arrivati a Steve Lyon?
Grazie al nostro produttore Carlo Martelli, che lavorava con Steve ai tempi dei Depeche Mode degli anni ’90. Tra loro è sempre rimasta una bella amicizia e Carlo un giorno gli mandò “Così è abbastanza indie?“, “Amaledirechelami” e la demo di “Nella tua trama“. E a Steve sono piaciute! Pensare che sono cresciuto con “Violator” dei Depeche Mode dove sopra c’era il suo nome e adesso ci stavamo lavorando insieme! Con lui a Londra abbiamo registrato 2 brani (uno andrà sul prossimo disco) e dato la mano finale all’album.
Oltre a Lynch e alla psicologia, tu sei anche molto appassionato di letteratura. I tuoi studi quanto peso hanno avuto nella scrittura dei testi?
Ho messo una grande attenzione nelle liriche. A un certo punto è stato come se l’anima letteraria e quella musicale si siano fuse, anche grazie a quello che ho studiato. È stato come se avessero cercato la letteratura nella musica e la musica nella letteratura. In generale mi sento di navigare meglio nella culla musicale rispetto a quella accademica, nonostante anche quest’ultima mi abbia portato delle soddisfazioni.
Autori di riferimento?
Ho scelto di chiamare la band “Panta” in omaggio a Pier Vittorio Tondelli, uno dei miei scrittori preferiti, che aveva fondato la prima rivista post moderna di musica e letteratura in Italia con questo nome. Nel disco ci sono Kerouac e Joyce, Rilke, Keats, Blake, Montale. E c’è tantissimo Pasolini. Quello che mi fa piacere è che si sta creando una comunità intorno al gruppo basata su questo sentire ed è qualcosa che poi, in un momento socialmente duro come questo, tiene alto un principio di umanità che invece dovrebbe essere la base della convivenza e del nostro vivere.
Rispetto all’Ep immagino ci sia stata un’evoluzione…
Non riesco neanche più a sentirlo, l’Ep! (ride). Comunque qualche germe del sound di “Incubisogni” c’era. Una canzone che si chiamava “Brividi” adesso è diventata “Velluto blu“, ma è completamente un altro pezzo. Poi c’erano già “Lacrime criminali” e “Sotto un cielo di ghiaccio“. E c’era anche un altro brano che abbiamo deciso di escludere dalla tracklist e che però è molto importante perché è la prima canzone che ho scritto dopo aver iniziato la meditazione: “Svegliati adesso“. Live la facciamo sempre ed è quella che viene cantata di più in assoluto. Probabilmente la metteremo nel prossimo album dove spero ci sarà una risoluzione tra sogni e incubi e si capirà dove staremo andando. Magari la inseriamo in apertura, come pezzo-manifesto!
C’è una cosa di cui vai estremamente fiero di questo disco e una che invece vorresti cambiare?
Vado veramente fiero di “Nella tua trama“, il picco musicale di “Incubisogni“, dove hanno messo le mani tutti quelli che poi hanno contribuito a creare l’album. Anche per quanto riguarda la parte strumentale ci abbiamo messo elementi nuovi come le tastiere, unico pezzo del disco in cui sono presenti. E poi dell’artwork di Valerio Bulla, un gigante che ha sposato la nostra causa perché ci ha creduto, soprattutto da un punto di vista artistico. In merito a quello che vorrei cambiare, sul lato “incubi” ci sono “Sotto un cielo di ghiaccio” e “Disordine e danze” che abbiamo registrato quasi hardcore! Magari gli avrei voluto dare un tocco un po’ più onirico.
Questo però è servito a rivedere ragazzi che pogavano all’interno di un’arena indie!
Io sono felicissimo infatti! Anche perché noi siamo cresciuti con quella tradizione musicale di alternative rock italiano che si è un po’ assopita. Ma anche semplicemente per motivi anagrafici: Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena a un certo punto sono scomparsi. Anche a Roma, dove comunque c’è una scena viva, non c’erano più tracce di quelle radici. Io credo che sia un patrimonio che va riscoperto e tutelato. Tempo fa ho parlato della scena it-pop con Samuel dei Subsonica e lui mi ha detto come ci fosse tutta una tradizione musicale basata sulla sperimentazione che invece è stata sostituita da qualcosa basata solo sulla rassicurazione. A noi piacerebbe prendere in mano questa fiaccola della sperimentazione, molto umilmente ma con tenacia.
Descrivimi “Incubisogni” con un accordo e 3 parole.
Per il lato “Sogni” un Sol maggiore. Per il lato “Incubi” ti direi un power chord di La minore. “Incubisogni” è trascendentale, onirico ed energetico.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)