Musica

#LiveReport: Archive al Viteculture Festival

Li avevo lasciati con “Restriction” del 2015, decimo album della loro luminosa carriera. Poi ho trascurato gli Archive per un bel po’, fino a quando non ho saputo che avrebbero suonato al Viteculture Festival questa estate e avrei avuto finalmente l’occasione di ascoltarli dal vivo all’Ex Dogana, mercoledì 12 luglio.

Gli Archive sono stati eccezionali, a dir poco. Un collettivo di musicisti di grandi capacità e intensità in grado di proporre pezzi ipnotici, avvolgenti e lunghissimi in cui, sostenuti da un robusto scheletro prog, trova asilo un muro di suono dall’impatto live devastante.

Il gruppo inglese, in tour per presentare l’ultimo “The false foundation” (Dangervisit / PIAS) del 2016, spreme per un’ora e mezza scarsa (pochissimo, considerando la discografia della band) una bomba timbrica che si scaglia sul pubblico della Dogana in forma di breakbeat, trip hop, elettronica acida, brani muscolari dove, in alcuni casi, si intrecciano ben 4 chitarre elettriche. Un vero e proprio paradiso, per chi ha a cuore la musica.

Solo 12, comunque, i pezzi suonati dagli Archive durante la notte romana del 12 luglio. Darius Keeler (testi, sintetizzatore, piano, programming, arrangiamenti), Danny Griffiths (testi, sintetizzatore, campionamenti, programming, arrangiamenti) e la versione ridotta del collettivo anglosassone (solo altri 5 membri, con loro, sul palco) aprono con “Driving in nails“, pezzo numero due di “The false foundation” per continuare con la title track del nuovo disco e chiudere il primo trittico con “Crushed“, unico brano proposto di “Restriction“.

Le bordate di synthbasso e batteria arrivano dritte allo stomaco senza interruzioni, praticamente, con un’energia inesauribile e un’attitudine rovente che gli Archive infondono a un suono granitico, privo di crepe, compatto, senza sbavature.

Sfilano poi “Splinters“, la celeberrima “Bullets“, “Bright Lights“, “Distorted Angels” in un continuo sali e scendi tra ritmi serrati e implacabili e atmosfere più raccolte e concilianti. Ovunque domina il tema del nero e dell’oscurità sia a livello di testi che di impianto scenografico, a corredo di un’elettronica plumbea e di un rock che come qualità ha pochissimi altri eguali al mondo.

KeelerGriffiths sparano le ultime cartucce con “Baptism“, “Fuck you“, “Sane“, “Controlling Crowds” e infine “Numb” (il famigerato pezzo con le 4 chitarre di cui sopra) che conclude con un crescendo devastante un concerto bellissimo ed emozionante, suonato in modo impeccabile da persone che probabilmente nella vita non potrebbero fare altro che questo.

Peccato solo per la risicata durata del live, per non aver suonato la meravigliosa “Again” e per la mancanza di bis in chiusura. Ma a mente fredda, agli Archive glielo possiamo perdonare.

The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)
(Foto copertina: © Viteculture Festival)

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