Spettacoli a Roma: La recensione di “Ismael” al Teatro Trastevere

Avrei dovuto preparare il mio cuore, prima. Ma non l’ho fatto. E ho sentito ogni singola sferzata trapassarmi l’anima.
Può una storia, simile a centinaia di storie che ogni giorno siamo abituati ad ascoltare con orribile superficialità, colpire e fare male solo perché raccontata in un modo diverso?
Sì, certo che sì.
E a me fa male ancora il petto da quel giovedì sera, il 27 aprile, in cui sono entrata nella sala del Teatro Trastevere per assistere a “Ismael – in viaggio dalla Siria”.
Spettacoli a Roma: “Ismael” al Teatro Trastevere
Autore e attore di questo testo è Massimiliano Frateschi che ha deciso di portare sul palco la storia di Adnan, un giovane siriano che lui stesso ha conosciuto.
E dai cui racconti è rimasto stregato decidendo di condividerli con noi.
Ad accoglierci in sala c’era Mubin Dunen, interprete di musica turca e curda, ad accarezzare le corde del santur, uno strumento iraniano a corde percosse molto affascinante.
Ismael appare tra le fila della platea: è un ragazzo esile e molto socievole.
Ismael cammina tenendo ben saldo in mano il ticket con il suo numero di turno fino ad arrivare a sedersi sulla panca posizionata in mezzo al palco.
Ci troviamo nella sala d’attesa dell’ufficio immigrazione a Roma.
La scenografia è quasi nulla, ci sono solo 3 sedie a simboleggiare una panchina.
Le luci sono calde e fisse e null’altro.
Ma non c’è bisogno di niente perché è la potenza delle parole di Ismael che ci farà vedere luoghi, persone e situazioni in ogni minimo dettaglio.
È un tipo allegro e loquace, parla un buon italiano e utilizza anche qualche intercalare romano qua e là pur mantenendo un chiaro accento siriano.
L’ho preso subito in simpatia: ha gli occhi che ridono e tanta voglia di raccontare.
Dice che conosce l’italiano perché la mamma glielo ha insegnato da piccolo insieme alle preghiere cristiane “perché è molto importante saper pregare la religione del paese in cui vivrai”.
La storia di Ismael
E così Ismael, giacché l’attesa si prospetta molto lunga, inizia a raccontarci la sua storia.
E lo fa con l’euforia di un bambino che torna a casa dalla gita scolastica e descrive tutto per filo e per segno ai genitori.
Ismael però non parla di gite ma della fuga dalla Siria attraverso i continenti.
Non di scolaresche ma di profughi.
Non di viaggi ma di persecuzioni.
E poi ancora di parla di bombe, della sua famiglia rimasta in Siria presumibilmente già morta, di prigionia, di eserciti, di frustate, di violenza, terrore.
Del suo rene venduto per poter volare nella stiva di un aereo.
Infine, di aver rischiato di dover essere rispedito in Siria non appena messo piede in Italia.

Il valore delle piccole cose
Ma Ismael ha sempre gli occhi che ridono, ha sempre la voce allegra anche quando riporta gli scenari più crudi: lui è felice perché è vivo.
Questo essere così grato alla vita, sorridente e propositivo pur avendo subìto un destino così crudele mi ha sbattuto in faccia la superficialità che mi circonda, l’ingratitudine.
E che non ci si sofferma mai ad apprezzare le piccole cose…
Quelle che per le persone come Ismael sono le uniche che tengono accesa la speranza e danno la forza di andare avanti quando ormai non si ha più niente.
La platea è immediatamente e totalmente catturata da Massimiliano Frateschi e la sua storia. Regna un silenzio assordante e rispettoso.
D’innanzi alle sue parole, tremendamente difficili da digerire, si può solo tacere.
Ismael qualche volta ci prova a fare delle battute di spirito ma nessuno di noi riesce a ridere, non ne abbiamo il coraggio, non c’è proprio niente da ridere.
Infatti poi ci rinuncia: dice che siamo troppo seri, che possiamo pure farcela una risata.
Noi. Ismael chiede a noi di ridere.
Ma nessun sorriso sarà mai luminoso come quello che gli ha acceso il volto al momento del suo turno, in battuta finale dello spettacolo, di fare i nuovi documenti per iniziare la sua nuova vita.
Gli applausi scrosciano: l’esibizione di Massimiliano è stata impeccabile, magnetica.
Quando le luci in sala si accendono sembra di essermi appena svegliata da una sorta di trance di cui, però, ricordo tutto.
E il cuore mi sembra un macigno.
Grazie per aver dato voce a chi troppo spesso non viene ascoltato come meriterebbe.
A quelle storie che non vogliamo conoscere per non dover scendere a patti con la nostra coscienza.
A quelle persone che siamo soliti considerare solo numeri e dati.
Dobbiamo esercitarci a usare l’empatia.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Myra Verdura)