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#Intervista: Iris Basilicata e la silloge “La voce liquida”

#Intervista: Iris Basilicata e la silloge poetica “La voce liquida”

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Iris Basilicata

Attrice, drammaturga e poetessa, Iris Basilicata ha da poco pubblicato la sua seconda silloge poetica “La voce liquida” per Controluna Edizioni, cercando di raccontare quello che ha significato per lei nella sua vita.

Amore, morte, desideri, tentativi di comprendere la propria esistenza. E Roma, la città che l’ha accolta, sullo sfondo.

La voce liquida” raccoglie “gli incontri che hanno impreziosito le mie giornate, le periferie in cui ho lavorato e che mi sono sembrate sempre più vicine“.

Un tentativo di dare respiro alle piccole cose nascoste nell’animo umano, insomma. “Sperando che qualcuno leggendo le poesie possa riconoscersi“.


Mi racconti da dove nasce la storia artistica di Iris?

Ho sempre avuto fin da piccola una forte passione per il cinema e la recitazione. I miei genitori hanno una grandissima raccolta di videocassette e guardavo tantissimi film, soprattutto d’autore.

Avevo una sfrenatissima fantasia, mi piaceva inventare storie.

Venendo però da un paesino molto piccolo in cui le possibilità di frequentare scuole di recitazione erano davvero molto ridotte, è stato solo al liceo che ho approcciato per la prima volta al teatro frequentando alcuni corsi pomeridiani organizzati a scuola.

Il primo spettacolo fu nel 2005 quando con la scuola partecipammo al festival Internazionale dei giovani a Palazzolo Acreide (Siracusa), organizzato dall’INDA.

Fu un’emozione fortissima e lì capii che la mia strada doveva essere quella. 

Da quanti anni lavori come attrice? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?

Subito dopo il liceo mi sono trasferita a Roma dove ho frequentato il DAMS e mi sono diplomata in recitazione e aiuto regia.

Dopo il diploma ho sempre lavorato con piccoli gruppi indipendenti.

Ho inoltre scritto la mia tesi di laurea sul teatro in carcere e ho quindi partecipato per diversi mesi ai laboratori teatrali svolti a Rebibbia.

Sono entrata nell’Associazione Artestudio Teatro con cui abbiamo fatto laboratori teatrali in carceri, Rems, centri d’accoglienza e centri di igiene mentale.

Questo mi ha permesso di osservare, fare e toccare l’arte teatrale in contesti particolari.

Ho poi continuato a studiare e a formarmi e ho conseguito il master in drammaturgia e sceneggiatura all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.

Fin da quando ho cominciato a studiare ho sempre pensato di volermi dedicare a miei progetti personali e quindi a partecipare a tutte le fasi della creazione di uno spettacolo, dalla stesura del testo alla messinscena.

Credo di avere delle cose da dire, anche se a volte non mi è sempre facile capire cosa (eheheheheh).

Domanda retorica (forse): l’emergenza Covid quanto ha inciso sulle tue attività?

Quando è scoppiata la pandemia ero in tournée con la compagnia Klimax, stavamo portando in giro per l’Italia uno spettacolo in lingua inglese per le scuole.

Ovviamente ci siamo fermati e purtroppo le date perse non sono state recuperate.

Mi ricordo ancora la sera in cui ci comunicarono che le restanti date del tour sarebbero saltate.

In compenso nel periodo di chiusura ho scritto tantissimo.

Ho sempre scritto tante poesie e in quei mesi ne ho approfittato per sistemare tutto quello che avevo scritto fino ad allora.

Così è nata la mia prima silloge “Poesie tra i denti” che è poi stata pubblicata nel 2021 da Edizioni Progetto Cultura.

Hai recentemente pubblicato il tuo secondo libro di poesie “La voce liquida” (Controluna). Mi racconti di cosa si tratta e in cosa è diverso rispetto al primo?

La voce liquida” è appena nato. È sicuramente una raccolta più profonda e introspettiva rispetto alla prima, anche per la varietà dei temi che ho scelto di raccontare.

In “Poesie tra i denti” ho parlato soprattutto della sfera sentimentale e affettiva che coinvolge la mia vita.

Quest’ultimo lavoro invece è diviso in piccoli capitoli: si parla di amore, certo, ma anche del mio modo di intendere la vita, come ho cercato in questi anni di comprenderla, della città di Roma che mi ha accolta.

E degli incontri che hanno impreziosito le mie giornate, delle periferie in cui ho lavorato e che mi sono sembrate sempre più vicine.

Un altro dei temi fondamentali è la morte. Sento un fortissimo attaccamento alla vita e quindi inevitabilmente anche alla morte, che fa parte di tutti noi.

Ho provato a raccontare quello che ha significato per me nella mia vita, sperando che qualcuno leggendo le poesie possa riconoscersi. 

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Al momento di cosa ti stai occupando?

Sono da poco andata in scena con il mio spettacolo “Candy, memorie di una lavatrice” e ora sto cercando di venderlo e di distribuirlo, mi piacerebbe poterlo portare in scena fuori Roma.  

Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi

In questo momento vorrei scrivere un testo nuovo. Ho delle suggestioni in mente, spero di incanalarle nel verso giusto!

Con la mia collega e amica Sabrina Biagioli, poi, stiamo partendo con dei nostri workshop teatrali di drammaturgia e recitazione.

Il primo inizierà proprio questo luglio e sarà intitolato “My story is your story“.

Ci interessa indagare come da storie a prima vista semplici possano nascere dei testi forti e intensi. 

Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera

Candy, memorie di una lavatrice” è il mio primo spettacolo.

Nel 2014 avevo letto di una inchiesta sul settimanale L’Espresso di vicende di caporalato nelle campagne del ragusano ai danni di circa 5000 donne rumene schiavizzate sia sessualmente che lavorativamente dai loro padroni.

Anni dopo, poi, nel 2017 lessi un ulteriore articolo che riportava la medesima situazione. Avevo capito quindi che nulla era cambiato.

Ho letto tantissime testimonianze sulla vicenda e ho deciso di raccontarne una che le racchiudesse tutte.

È il mio primo spettacolo, il mio primo monologo, il mio migliore amico.

C’è una cosa che un’attrice non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?

Penso che non si debba mai smettere di studiare e conoscersi come artista.

Bisogna sempre tenere in allenamento costante il corpo, la mente e soprattutto la creatività e per questo bisogna andare a vedere tanto, tanto, tanto teatro!

E una poetessa?

Un errore secondo me grave che una poeta potrebbe fare è quello di non leggere le poesie degli altri, sia di colleghi che di poeti del passato. Il confronto è importante.

Pensare di avere una propria linea che non vada alimentata con il continuo confronto potrebbe essere pericoloso perché rischia di creare una chiusura anziché una apertura verso il pubblico.

Teatri e cinema sono rimasti chiusi praticamente per tutta la durata dell’emergenza pandemica e sono stati gli ultimi luoghi culturali ad aver riaperto. La cultura è davvero “non necessaria”?

La cultura è identificata come non necessaria dal momento in cui non si ha piena coscienza di che cosa sia la cultura.

Spesso si guarda alla cultura solo come in termini assolutamente tecnici. Pasolini diceva che la cultura è una “possibilità di lotta”, un qualcosa in cui il popolo deve riconoscersi e crescere in questo.

L’arte e la cultura ci fanno comprendere gli aspetti sentimentali ed etici della vita, ma anche il lavoro, il senso di comunità e l’appartenenza di un individuo a un gruppo che porta avanti -più o meno bene- la propria esistenza. 

Mi descriveresti il lavoro artistico di Iris Basilicata con un’immagine e con 3 parole?

Se devo pensare a un oggetto che rappresenti il lavoro che faccio direi il mio taccuino.

So che può essere una risposta scontata ma non esco mai senza carta e penna, mi piace raccogliere ovunque delle suggestioni che poi cerco di inserire in un mio testo, poesia o racconto.

3 parole con cui descrivo cosa sia per me il lavoro artistico direi rivoluzione, poesia, esistenza.

The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)

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