Giusto in tempo per il Rock: 30 gennaio 1969

“Vorrei ringraziare a nome del gruppo e di noi stessi e spero che abbiamo superato l’audizione”
John Lennon al termine del concerto improvvisato sul tetto della Apple Records il 30 gennaio 1969
È il numero 3 di Saville Row di Londra.
Se alzi la testa ci vedi gli uffici della Apple Records, una casa discografica appena fondata.
Sono le 5 del mattino, la strada è quasi completamente deserta. Il gelo dell’inverno ha ricoperto i vetri e gli specchi delle macchine.
Alcuni abbellimenti natalizi, non ancora riposti negli scatoloni in soffitta, si affacciano dalle finestre delle case a schiera.
Di sotto è parcheggiato un furgoncino con 2 ragazzi che stanno aspettando qualcuno o qualcosa mentre ascoltano la radio. Solo notizie.
Da 10 giorni Richard Nixon si è insediato alla Casa Bianca. Parole come “anticomunismo” riecheggiano in tutte le trasmissioni. I 2 sono assonnati, neppure ci badano, trasportano cavi, strumenti, amplificatori e tanto altre materiale.
Sembrerebbe che si stia organizzando qualcosa da quelle parti. Ma cosa?
Le dita sono rafferme dal gelo, ma riescono a lavorare nonostante tutto, a trasportare il materiale poco alla volta ma speditamente, a portarlo lì sul tetto della Apple Corps.
Un poliziotto che si aggira da quelle parti è sospettoso, fa domande, torna e poi va via.
Tecnici, inservienti, amministratori, manager: le persone si qualificano e si moltiplicano come in un numero di magia. Alcuni hanno un aspetto titolato, in genere sono quelli che con le mani indicano cosa fare, altri sono già stremati.
E pensare che sono solo le 10 di mattina.
Molti curiosi cominciano a fermarsi per la strada a ingombrare i marciapiedi. Cosa sta succedendo quella mattina del 30 gennaio 1969?
“C’è qualcosa, venite, presto!”
Il vento gelido è fortissimo. In alcuni punti le folate sono talmente violente che spazzano via tutto se non c’è qualcuno lì a fermarle con teli o altri aggiustamenti.
Si fa quel che si può, anzi, si deve. Tutto deve essere perfetto.
Meglio prendere le calze di nylon per proteggere i microfoni provare e vedere se il suono così migliora.
Sì, in effetti, il sound check è perfetto, qualche sbavatura acustica dovuta all’impatto emotivo del luogo che ospiterà questo concerto, ma dio se ne vale la pena.
E in effetti siamo a quasi un’ora dall’inizio e tutto sembra essere a posto. Ancora nessuno sa cosa sta accadendo lì, su quel tetto.
Londra parla in fretta però. Le voci si moltiplicano, anche loro. Chi chiama, chi si ritrova a chiamarne altri e sempre nuovi. “C’è qualcosa, venite, presto“, si tramanda.
Si sa che da quella porta al civico 3 di Saville Row ne passano parecchi di artisti. D’altronde quella etichetta è stata fondata dai Beatles, non da chicchessia.
Ore 12 del 30 gennaio 1969
Arrivano le 12. Finalmente.
Giù è tutto un brusio, un chiacchiericcio, un soffiarsi sulle mani per scaldarsi un po’. Ed eccoli, alcuni lo immaginavano, sì, sono i Beatles.
Indossano chi pellicce, chi completi italiani, chi giacche di pelle, hanno la barba e i capelli più lunghi di come si presentarono la prima volta sul palco.
“È dura” disse John Lennon, perché il vento è amico delle scene, meno del suono che vuole comandare a tutti i costi. Forse il vento non conosce i Beatles, con loro c’è poco da discutere.
Il concerto che diventa evento del secolo
Il concerto sul tetto in pochi minuti diventa l’evento del secolo. La gente è diventata folla, il brusio iniziale urla di ammiratori e fan.
I Beatles suonano 9 canzoni del loro più famoso repertorio: “Get back” per 2 volte, “I want You (She’s So Heavy)“, “Don’t let me Down” per 2 volte, “I’ve Got a Feeling” per 2 volte, “One After 909“, “Danny Boy“, “Dig a Pony“, “God Save the Queen“.
Finché i poliziotti non decidono di intervenire per bloccare il concerto non autorizzato e che infastidisce il vicinato.
Forse non sapevano che a disturbarli era il saluto al mondo dei “quattro ragazzi di Liverpool” che a ogni passo avanti avevano fatto la storia della musica.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Elisa Mauro)