#Intervista: IRuna, “‘Blue’ è un manifesto di vulnerabilità”
Uscito lo scorso 3 dicembre su etichetta Artist First, “Blue” è il primo album di Irene Montesi, in arte IRuna, un disco elegante e raffinato che mette in evidenza le ottime doti compositive dell’artista originaria del Centro America, sponda Costa Rica.
“È sicuramente un disco che dice la sua” racconta Irene. “Che prende direzioni di gusto e non troppo di moda e punta a essere di fruibilità trasversale sia a livello sociale che anagrafico, sia a livello musicale che testuale“.
Un piccolo “Manifesto di Vulnerabilità” che IRuna oggi mi ha raccontato in maniera profonda e appassionata descrivendo la sua crescita artistica, i progetti per i prossimi mesi, i passaggi di realizzazione del disco.

Mi racconti da dove nasce la storia artistica di IRuna?
Il progetto nasce dalla necessità di espressione.
Dal punto di vista musicale ho sperimentato molto prima di arrivare a scrivere pezzi che cercassero di rispecchiare la mia persona e i miei gusti musicali.
Ho iniziato nel 2017 con “Bacche di Goji” ma ancora stavo cercando di mettermi a fuoco.
Con “Blue” sicuramente sono andata più a fondo, ma il viaggio è appena iniziato.
Parlami della tua musica: cosa ti piace proporre, soprattutto?
Mi piace proporre musica vera, suonata e generata da specifiche situazioni o stati d’animo molto relazionabili.
Mi piace sollevare tematiche insolite, mi piacciono le contraddizioni della realtà e l’ironia che spesso si portano appresso.
Mi piace creare uno spazio di ascolto basato su gioco e riflessione, che poi è quello che cerco io nella musica e che mi colpisce di più.
“Blue” è il tuo primo album. Di cosa si tratta e come hai lavorato sulla stesura delle canzoni?
“Blue” racchiude canzoni che ho scritto in diversi momenti spalmati in un periodo di tempo piuttosto lungo.
Alcune sono nate per caso, come “Solo Parlare” o “Blue”.
Altre le ho pensate per diverso tempo perché il loro fulcro centrale era difficile da catturare, come “Selva”.
Dopo la scrittura ho poi lavorato fianco a fianco nell’arrangiamento e la produzione con Matteo Domenichelli.
C’è stato uno scambio di idee molto fluido e continuo, è stato un processo molto interessante.
C’è un pezzo tra quelli che hai inserito nel disco che, dopo averlo riascoltato, avresti voluto più tempo per migliorare e uno che invece porteresti con te sulla classica isola deserta?
Nell’isola deserta porterei sicuramente “Solo Parlare”, mentre forse avrei lavorato diversamente a “Morbido”.
Parlami dei collaboratori coinvolti nel progetto. Che peso hanno avuto e quanto hanno inciso sul sound definitivo di “Blue”?
Come ho già detto prima la collaborazione con il mio produttore Matteo Domenichelli è stata fondamentale per la definizione del suono e per mettere insieme tutti quegli elementi che lo caratterizzano e lo rendono originale.
Anche il lavoro di registrazione e di mixaggio fatto con Jesse Germanò al Jedi Sound Studio di Roma è stato un tassello molto importante perché Jesse ha capito subito la direzione artistica che volevamo prendere e ha portato molto al suono del disco.
Perché lo definisci “un disco politico”?
“Blue” non è un disco propriamente politico, ma sicuramente non scende troppo a compromessi.
È sicuramente un disco che dice la sua, che prende direzioni di gusto e non troppo di moda e punta a essere di fruibilità trasversale sia a livello sociale che anagrafico, sia a livello musicale che testuale.
Forse l’aspetto più politico è il suo essere un piccolo “Manifesto di Vulnerabilità”.
Come sono stati accolti i primi 2 singoli estratti, “Amico mio” e “Selva”? Ce ne sarà un terzo?
I primi 2 singoli sono stati scelti per dare un inquadramento di suono del progetto e tracciare una linea di continuità con il singolo del 2020 “Fuori Tempo”.
Sono i pezzi in cui si sentono di più le influenze latine sia a livello ritmico che melodico.
Sono anche dei pezzi con un testo molto dritto, in cui vengono trattati tempi “spinosi”.
Devo dire che il rischio è stato premiato e credo siano stati ascoltati e apprezzati nella loro essenza, specialmente “Selva“.
Non credo ci sarà un terzo singolo, ma stiamo lavorando a un video per uno dei pezzi del disco.

Ti ritrovi nella definizione generica di “cantautrice”?
Sì, mi ci ritrovo. Do molta importanza a quello che scrivo.
Canto quello che scrivo e sono autrice dei pezzi che canto.
Spesso mi piacerebbe anche solo cantare, o solo scrivere per altri.
Ci stiamo lavorando.
Da quanti anni fai la musicista? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?
Faccio musica da quando ho 18 anni, mi definisco propriamente musicista da 6 anni a questa parte, anche se non è l’unica cosa che faccio.
Sicuramente la consapevolezza musicale muta a seconda delle esperienze e degli incontri che si fanno.
Sul palco e nella scrittura ora sono molto più sicura di prima.
È anche vero che appena ho iniziato a scrivere avevo una spensieratezza e un’urgenza diverse, il mondo della musica cambia molto in fretta.
C’è una cosa che una musicista non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Smettere di coltivare il rapporto tête-à-tête che sia ha con la musica, quindi coltivarlo sempre.
Come in tutti i rapporti ci sono momenti di grande affiatamento, altri in cui ci si sente di meno ma si resta uniti.
Altri in cui il potenziale esplode.
Altri in cui dopo mesi che non ci si vede sembra come di essersi rivisti 2 ore prima.
L’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?
Moltissimo. Ho dovuto avere molta pazienza per pubblicare il disco e anche molta perseveranza nel non lasciare un lavoro così importante e fatto con cura per strada, presa dalle esigenze di vita e dalle contingenze.
È stata dura per il settore e senza delle leggi che lo tutelino continuerà a smaltire gli strascichi di questa pandemia per diversi anni.
Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi, tra tour e presentazioni
Sono stata fortunata ad aver presentato il disco a dicembre in un locale di cui stimo molto la direzione artistica come il Monk di Roma, in una serata che è andata sold out, prima della stretta invernale.
Sicuramente stiamo cercando di replicare appena sarà possibile con un piccolo tour e qualche apertura importante, ma non posso dare troppe anticipazioni.
Nel frattempo sto lavorando a pezzi nuovi che spero vedano la luce presto.
Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera
In questi mesi forse il progetto del videoclip di “Selva” è uno di quelli che sento mi rappresentino di più.
Pur essendo un videoclip molto essenziale, mi piace la rappresentazione del corpo che ne esce, la relazione con il testo, l’interpretazione dei ballerini, la predominanza dell’elemento naturale vergine, essendo stato girato in Costa Rica, mia terra d’origine da parte materna.
Lo sento un progetto molto autentico ed è stata una piccola grande rivincita per un pezzo che parla di genere.
Mi descriveresti il lavoro artistico di IRuna con un accordo e con 3 parole?
Progressione di IV grado maggiore – IV minore.
Né per stile, né per fama, né denaro. Scherzo!
Ironia, naturale, cruda.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)