Intervista: Nessuna stia “Zitta”, parola di Maru
Cuore bolognese e sangue siciliano. Maria Barucco, in arte Maru, scrive canzoni dal 2012 ma già a 5 anni girava per casa con una Gibson tra le mani.
Dopo l’esordio del 2018 per Bravo Dischi, Maru si prepara a sfornare il secondogenito il prossimo settembre, sempre per l’etichetta di Fabio Grande.
Nel frattempo, dopo il primo singolo “Quechua“, Maria torna con “Zitta“, che definisce “una dichiarazione di guerra alla disparità di genere e alla discriminazione“. Un pezzo che affronta di petto temi legati al mondo LGBTQI che l’artista sente molto vicini e che ha provato a tradurre in musica.
Perché parafrasando lei stessa, “non è da Maru restare zitta“.

Mi racconti da dove nasce la tua storia artistica?
Ho sempre avuto una casa piena di strumenti e un ottimo orecchio musicale, questa è stata la mia grande fortuna.
A 5 anni imbracciavo già la Gibson SG di papà sognando di diventare musicista.
Cambio idea facilmente e su tutto, ma su questo non l’ho mai fatto.
Sogno ancora di potermi definire musicista e di vivere solo di musica e grazie al mio team, ogni anno che passa, ho enormi soddisfazioni e vedo il mio obbiettivo avvicinarsi sempre di più.
“Zitta” è un pezzo che affronta temi molto importanti e contemporanei, spaziando dalla comunità LGBTQ all’identità di genere, ai pregiudizi e alle discriminazioni. Mi racconti come nasce?
In passato, nel vecchio disco in particolare, ho parlato di me con molta naturalezza e onestà, considerato che erano tutti brani che, prima di incontrare Fabio Grande, erano canzoni fatte per restare in una cameretta.
Essendo le mie esperienze e la mia quotidianità quelle di una persona appartenente al mondo LGBTQI ed essendo io dichiaratamente omosessuale, ho sposato una causa che ho sempre sentito molto mia.
Ma è una bandiera che ho portato in un modo un po’ leggero e naïf, pensando a come poter cambiare delle cose che nella pratica giovavano al mio modo di vivere la mia sessualità, semplicemente raccontandomi.
È stato bellissimo aver trovato persone che hanno sentito e si sono immedesimate in quei testi, ma stavolta ho preteso di più da me stessa, volendo essere ascoltata a tutti i costi anche da chi non vuol sentire.
“Zitta” è, prima di ogni altra cosa, una dichiarazione di guerra alla disparità di genere e alla discriminazione.

C’è anche un nuovo disco all’orizzonte? Come sarà?
C’è e sarà più maturo. Per me è stata una bella presa di coscienza inciderlo.
Ci sono sia pezzi di ascolto facile che brani un po’ più introspettivi.
Anche per questo disco ho lavorato con Fabio Grande e Pietro Paroletti, 2 produttori eccezionali nonché 2 persone splendide che continuano a darmi stimoli e a farmi crescere insieme alla famiglia Bravo Dischi.
Non potrei chiedere di meglio.
Nel corso del tempo com’è cambiato il tuo modo di interpretare il messaggio musicale?
Ho sempre rischiato di apparire un po’ criptica e poco trasparente nella mia scrittura, in passato.
Da una parte mi ha portata ad arrivare a un pubblico prezioso.
È sempre più raro che, ascoltando una quantità massiva di musica, si riesca a leggere tra le righe di un testo, eppure c’è chi l’ha fatto.
Il mio esercito di nerds mi ha capita e mi sento molto fortunata e chi invece non l’ha fatto ha reinterpretato e portato le mie parole nella sua quotidianità, cosa che ha comunque il suo fascino.
Nel prossimo disco ho cercato di spiegarmi in un modo più accessibile, più “pop”, se vogliamo.
Hai un pubblico-tipo?
Mi auguro sempre di no! Penso di aver cambiato spesso dimensione nei miei pezzi, anche genere musicale, ma il messaggio che ho è sempre uguale sebbene porti molte vesti.
Chi vuole ascoltare, anche una misera volta, in qualche modo lo supporta.
C’è una cosa che secondo te una musicista non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Ciò che non va mai fatto è sicuramente mettere eccessivamente a confronto il proprio lavoro con quello di qualcun altro. Il tipico processo mentale del “Sì ma, se ce la fa tizio/a, perché non io”?
È un meccanismo controproducente, che destabilizza. Crearsi una nemesi immaginaria non fa bene a nessuno.
In questo periodo più che mai, dall’hashtag #iolavoroconlamusica, stiamo capendo che la collaborazione è preziosa e che facciamo tutti parte dello stesso calderone. Credo sia quest’ultima la cosa che va sempre fatta.
Se hai un messaggio, collaborare per portarlo avanti. Specie se sei una donna nel mondo della musica.
L’emergenza Covid quanto ha inciso sul tuo lavoro?
Dal punto di vista della scrittura, positivamente. Ho avuto naturalmente più tempo per concentrarmi anche se con meno stimoli.
Abbiamo rischiato un po’ rilasciando il primo singolo estratto dal disco, “Quechua“, il 24 marzo. Proprio nella fase uno, tra l’altro, siamo stati costretti a lasciare gli ultimi dettagli del disco sospesi e lavorare a distanza (Roma – Bologna) era un tantino impensabile.
Una volta lanciate le basi per l’uscita del disco, però, non potevamo tirarci più indietro rimandando tutto a tempi migliori e sono felicissima di non averlo fatto.
Avevamo davvero poco materiale per rilasciare “Zitta”, poche registrazioni e poche voci. Col senno di poi, la sua apparenza “grezza” le sta addosso divinamente.
Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi
Artisticamente, non ho grosse iniziative in programma se non il lancio del disco a settembre.
Con Fabio e Pietro e tutti i ragazzi di Bravo stiamo lavorando molto per prendere una posizione chiara nell’ambito della musica emergente, ma personalmente tendo a non pianificare, a fidarmi del mio team e procedere con la mia crescita personale.
A questo proposito, da settembre spero di entrare al Conservatorio di Bologna, al corso di Musica Elettronica.
Sono molto fiduciosa! Penso possa essere un percorso stimolante e che mi consentirà di crescere anche artisticamente.
Dimmi di quale canzone vai al momento particolarmente fiera e perché
Di “Zitta“, senza pensarci troppo.
Sarò un po’ arrogante a crederlo, ma penso sia una buona direzione, molto più matura e coscienziosa. Ho preso atto delle mie capacità di girare intorno ai fatti e alle situazioni con le parole, ma adesso mi piacerebbe lasciare intendere delle cose complesse in modo più semplice, limando ciò che dico anche per un ascolto un po’ più distratto.
In passato ho scritto spesso in un modo più criptico e naïf.
Sicuramente entrambe cose volute, ma i temi che ho scelto di trattare meritano di essere più chiari e concisi.
Con “Zitta” credo di essere riuscita nel mio intento.
Mi descrivi Maru con un accordo e con 3 parole?
Sicuramente un minore settima ma, dato che mi piace complicarmi la vita, ci aggiungo una sesta minore.
Le 3 parole sono, senza dubbio, “è sempre aperta”, con quella vocina “pitchata” e fastidiosa che possono avere solo il ritornello di Giorgia e i Chipmunk.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)