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#Recensione: “La Bisbetica domata” al Globe Theatre

Nelle pieghe stropicciate dell’ambiguità risiede silente il fuoco della passione. E quando il fuoco inizia ad ardere impetuoso, è fra le rime de “La Bisbetica domata” che possiamo (ri)trovare quesiti e risposte a domande fra le più seducenti e sinuose. Con questa suggestione voglio introdurre il racconto dell’omonima opera di William Shakespeare che ha esordito lo scorso 19 luglio, curata dalla preziosa regia di Loredana Scaramella che, ancora una volta, omaggia sapientemente il bardo e il pubblico del Silvano Toti Globe Theatre con una traduzione e un adattamento in grado di tratteggiare con sensibilità e cura le molteplici sfumature delle opere del grande drammaturgo inglese.

Composta e ambientata a Padova probabilmente nel 1594 (anche se la datazione è ritenuta molto incerta), “La Bisbetica domata” è senza dubbio un omaggio alla città che Shakespeare stesso definisce la culla delle arti. Suddivisa in 5 atti, il cuore pulsante della drammaturgia è affidato a Petruccio, avventuriero di Verona, che decide di prendere in sposa l’intrattabile Caterina di Padova attirato sia dalla dote della fanciulla sia dalla sfida nel rendere la ribelle dama una moglie educata e sottomessa.

La gentilezza e non la bella apparenza di una donna avrà il mio amore

La storia si apre con un’introduzione, una sorta di stratagemma narrativo scelto dal Poeta per condurre il pubblico attraverso le maglie di un racconto che si rivela ben presto un divertente quanto intenso gioco di teatro nel teatro. Sly, un ubriacone scanzonato e dalle misere prospettive quotidiane, viene ingannato nel sonno allo scopo di fargli credere di essere un ricco signore guarito da una lunga amnesia e divenire suo malgrado inconsapevole spettatore dell’intera opera. Il sonno e il sogno sono temi cari alla produzione shakespeariana che Loredana Scaramella esalta magistralmente in questa occasione come negli altri imperdibili appuntamenti nel teatro elisabettiano della Capitale.

L’ambientazione de “La Bisbetica domata”, che sarà in scena fino al 4 agosto, è collocata alla fine degli anni ’30 del ‘900, prima della grande guerra che segnò, fra le altre cose, l’inizio di una battaglia di supremazia fra sessi dai risvolti culturali e sociali di grande impatto emotivo. La figura femminile verrà dal regime fascista identificata unicamente come quella di moglie devota e madre: un’importante provocazione che rappresenta lo scheletro della struttura narrativa proposta sulla quale poggeranno tutte le successive sollecitazioni dal grande impatto emozionale.

La bellezza di questa originale lettura della commedia di Shakespeare è da scoprire gradualmente fra i grandi temi che attraversa trasversalmente rendendoli un unicum armonioso: la forza e la precarietà dell’arte, il qui e ora che ogni opera del maestro inglese ha tradotto con la sua irraggiungibile penna, il ruolo della donna e della diversità di genere e, infine, la bellezza che rischiamo di perdere a favore di un cieco qualunquismo. Temi forti se pensiamo per un attimo a tutto ciò che permea la nostra vita.

La malinconia è la balia della follia

L’arte viene omaggiata dal gruppo di musicisti e attori di avanspettacolo che arrivano nella taverna nella quale si ambienta l’inizio dell’imprevedibile avventura. Il qui e ora è trionfante in ogni personaggio tratteggiato e caratterizzato con passione e bravura da ciascuno dei protagonisti in scena, ai quali va il mio plauso più lungo e sentito. Si materializza sul palcoscenico un regime che deve in qualche modo essere demonizzato.

È indispensabile sopravvivere a un presente incerto per costruire un possibile futuro certo: le 2 sorelle Caterina e Bianca e La Vedova, danno voce a questo sentire inquieto. Il ruolo della donna è incastonato nella magnifica storia d’amore fra Petruccio (Mauro Santopietro) e Caterina (Carlotta Proietti) che superano loro stessi con un’interpretazione tanto intensa da lasciar il pubblico con il fiato sospeso nonostante la lunga durata dell’opera. E poi ancora la bellezza, alla quale lentamente ci disabituiamo consumati dalla velocità, che viene accarezzata per l’occasione dalle musiche dal vivo del quartetto William Kemp.

Diviso in 2 lunghi periodi di narrazione, la prima parte de “La Bisbetica domata” è più intimista e segue un passo prudente e lieve per lasciare ampio spazio all’impianto scenografico che, con pochissimi elementi selezionati, contiene i molteplici livelli narrativi in gioco. L’intervallo è, come ormai di consueto, uno spettacolo nello spettacolo con il pubblico che indugia all’interno dello spazio del Globe per applaudire le acrobazie artistiche degli attori, rimasti generosamente sul palco. Il secondo tempo invece segue un timbro stilistico decisamente più serrato nel quale gli intrecci della narrazione dovranno sciogliere la matassa della storia nella storia, per ricondurre ciascun fattore al suo posto iniziale, compreso l’ignaro Sly.

Illusione, dolce chimera sei tu…”

Le riflessioni che porta con sé la storia d’amore fra Petruccio e Caterina trovano massima espressione nel monologo finale della protagonista durante il quale si fondono in artistica illusione la donna, la soubrette, la moglie e l’amante. Illusione che veste i più scaltri e ammanta i sognatori. Illusione come manifesto dell’arte che deve rimanere libera così come la cultura e la possibilità di scelta per ciascuna persona al di là di qualsiasi possibile differenza di genere.

The Parallel Vision ⚭ ­_ Raffaella Ceres)
(Foto: © Giovanna Onofri)

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