“Non sono in ritardo, è la vita che mi trattiene”. Provocazione o affermazione? Adolfo Margiotta lo dichiara sornione nel suo spettacolo “Fatevi sentire, vi chiamo io” in scena dal 7 al 10 marzo nell’accogliente spazio dell’Altrove Teatro Studio e propone agli spettatori una originale e vincente strategia per restituire valore al tempo che scorre, o forse corre, o forse si perde.
Un super top manager di una super top manageriale città, che identificheremo come Milano visto l’esordio dialettale scelto dal protagonista per aprire la scena, delimita camminando lo spazio che lo circonda. Percorre con passi ampi immaginarie linee perpendicolari fra di loro. Non si intrecciano i suoi passi, non hanno nulla di circolare o accogliente: avanti e indietro, indietro e avanti in maniera claustrofobica e maniacale.
Cammina e parla al telefono senza curarsi di quello che accade intorno a lui perché deve raggiungere l’ufficio velocemente e concludere l’ennesimo vincente affare. Ma c’è traffico, troppi rallentamenti e il nostro antieroe della lentezza deve scendere a un compromesso da poveri: prendere la metropolitana.
Il manager è un mestiere umanista!
Si percepisce l’ansia del protagonista, la vive concretamente persino il pubblico in sala attraverso le minuziose scelte registiche di Paola Ferrando che hanno saputo offrire il valore aggiunto al testo dello stesso Adolfo Margiotta. Tutto è estremamente lento fin dall’inizio della piéce nonostante si racconti la frenesia di chi del tempo non riconosce più il valore. Sono lenti i movimenti così come lo sono le pause fra un’affermazione e l’altra, persino fra una risata e l’altra.
Nell’angusto spazio della fermata del metrò, il protagonista sofferma lo sguardo su di un orsacchiotto di peluche abbandonato su una sedia e il tempo magicamente si ferma. Nessun orologio è più in grado di stabilire che ore siano, i treni di passaggio corrono come se non esistessero stazioni e prendono vita i molteplici personaggi che, con una dinamicità artistica non convenzionale, Adolfo Margiotta incontrerà nell’attesa del suo convoglio.
Il primo scontro avviene con sé stesso, con le proprie origini campane sottaciute a favore di una più spendibile faccia da american express; avviene poi con l’amara presa di coscienza di essere un marito cornuto e padre di un figlio che non è sangue del suo sangue. Si ride amaro fra queste prime battute che definiscono nell’immediato la cifra stilistica scelta in “Fatevi sentire, vi chiamo io” e si sviluppano in un crescendo di incontri inverosimilmente più reali della realtà, attraverso i quali interrogarsi sul pegno da pagare quando si sceglie di rincorrere un ruolo nella vita.
“Nella vita ci vuole coraggio per fare quello che si sogna di fare”
Il protagonista abbandona lentamente sé stesso per far avanzare il suo alter ego che di volta in volta trae linfa vitale in un siculo focoso, in una nonnina ninfomane, un ex vero caro amico, un improbabile cocainomane, un omosessuale indeciso e persino in un cane parlante. Ma la sua vera anima è celata nella parte meno dinamica della scena: quell’orsacchiotto che inchioda i ricordi di quel che egli avrebbe voluto essere e che oggi non è.
E intanto i treni continuano ad attraversare velocemente la stazione dove il tempo si è fermato. Si risveglia la volontà in potenza del nostro top manager. Stanco di correre dietro alla vita finalmente verbalizza la rinuncia fatta verso i propri talenti: la musica e la scrittura. Prende in braccio il suo orsetto e racconta in rima che perdiamo ciò che siamo perché ci affanniamo a vivere per esistere, invecchiando senza vivere. Il tempo in sala si ferma, mentre riparte quello sospeso del bravissimo Adolfo Margiotta che quel treno sceglie di non prenderlo più.
“Fatevi sentire, vi chiamo io” è in realtà l’ostinato che prevale sulla melodia che dovrebbe accompagnare le nostre frenetiche vite. Sono il re e la regina delle frasi tipo che peschiamo nei nostri repertori quando cerchiamo di allontanare da noi non tanto le persone, quanto il tempo da dedicare loro. È una performance impegnativa che consente al comico e attore partenopeo di esprimere buona parte delle sfumature della sua tavolozza artistica.
Si ride e si riflette con Adolfo Margiotta, diventando inconsapevolmente protagonisti della drammaturgia presentata. Il punto di forza del testo si caratterizza nell’aver saputo affrontare una tematica ormai consumata dai mezzi di comunicazione attraverso una lente d’ingrandimento non comune e non banalizzando l’analisi dell’io indispensabile per la ricerca di qualsiasi cambiamento. Il tempo, infatti, si ferma solo nell’istante in cui ci (ri)conosciamo. Siete dunque pronti a perdere consapevolmente il treno della vostra metropolitana?
(© The Parallel Vision ⚭ _ Raffaella Ceres)