Ve l’ho presentato come il nuovo crocevia romano di musica, cibo e drink. E queste prime settimane di attività del Klang lo confermano: il nuovo spazio del Pigneto sta crescendo in maniera sana e costante, il pubblico è diversificato, la proposta artistica copre dall’elettronica alla techno fino al jazz e allo shoegaze. Insomma, il locale romano sta piantando radici solide. E mi sembrava il caso di parlarne con Cristiano Latini, ideatore e fondatore di questo progetto in pieno divenire che ho incontrato qualche giorno fa proprio negli spazi di Via Stefano Colonna 9.

Cristiano, quando hai cominciato a pensare al Klang?
Le radici affondano a tanti anni fa, quindi te la faccio il più breve possibile. Mi sono sempre occupato di musica, nella mia vita. E contemporaneamente alle attività in ambito musicale mi sono appassionato alla birra artigianale. Quindi, semplicemente, quando ho cominciato a costruire l’idea di quello che poteva essere il mio locale ho pensato di fondere le anime di queste 2 passioni parallele. Anche perché posti che mi soddisfacessero sia dal punto di vista musicale che del beverage non c’erano. Trovare il luogo adatto non è stato facile, il percorso è durato parecchio. Ma poi alla fine credo siamo riusciti a realizzare più o meno quello che avevo in testa. In totale è stata un’avventura iniziata bene o male 3 anni fa.
Il Klang a che pubblico si rivolge?
Non ho mai pensato a un pubblico di riferimento specifico e da quello che sto vedendo, in effetti non c’è. Poi ovviamente, soprattutto quelli che ci hanno seguito da subito, sono appassionati di musica, artisti o comunque persone che gravitano all’interno del panorama musicale. Comunque il pubblico si sta incredibilmente allargando. Sia a livello di fascia d’età sia di tipologia di persone, spesso completamente diverse. Quindi direi ampio e variegato. E questa cosa mi colpisce in positivo, perché pensavo che il Klang potesse diventare un locale più di nicchia! Questo mi dà molta soddisfazione.
Secondo te perché un posto come questo mancava?
Dal punto di vista estetico ho cercato di guardare a qualcosa che non fosse molto contestuale a Roma. Questa forse è stata una carta che ha incuriosito, perché comunque il Klang è leggermente diverso rispetto alle aspettative. E poi perché è difficile trovare una programmazione (anche abbastanza estrema) così come la stiamo curando, visto che secondo me ce n’era bisogno in quanto molti musicisti non riescono a trovare spazio nei normali circuiti di clubbing. La risposta del pubblico ci sta dando ragione. E poi c’è anche il fatto di unire il bere e il mangiare in un certo modo con l’aspetto della musica. E le 2 cose non è detto che siano per forza collegate: c’è un sacco di gente che viene qui a godersi lo spazio a prescindere da quello che c’è in sala live. Quindi anche la somma delle 2 anime (cucina + musica) rende la situazione assolutamente funzionale.
A proposito delle 2 anime, cominciamo dalla parte food. Che tipo di proposta enogastronomica c’è al Klang?
Rispetto alla musica, la cucina è stata un’idea che è venuta leggermente dopo per poter offrire al pubblico un’esperienza a 360 gradi. Abbiamo iniziato a studiare un’offerta che potesse funzionare all’interno di questo tipo di spazio. Quindi non un club, non un ristorante, non un pub, non un locale ma un po’ tutte queste cose insieme. Il menu è abbastanza smart, tra lo street food e l’american ma comunque rivisitato. Alla fine è come siamo noi: leggermente esigenti su quello che andiamo sia a bere che a mangiare che ad ascoltare. Quindi, di base, una cucina da pub sulla quale abbiamo iniziato a lavorare sopra con le nostre idee. Dal punto di vista della cottura lavoriamo con un forno a brace che caratterizza tutti i nostri piatti e poi abbiamo giocato molto con l’affumicato. Ma la cosa più importante è che tutto è fatto in casa dalla nostra brigata (4 persone più una al lavaggio). Crediamo molto in questo.
Capitolo musica. Avete curato moltissimo l’aspetto acustico con un impianto fantastico. Che tipo di programmazione c’è, qui?
Dal punto di vista tecnico sia io che Gianclaudio Hashem Moniri (uno dei 2 direttori artistici assieme a Marco Bonini, ndr) abbiamo un passato da fonici e da studenti di sound design, quindi l’attenzione per la qualità è stata una delle cose che ci ha interessato di più. Poi ci siamo resi conto che spesso, anche ascoltando in giro cose di una certa ricercatezza, la resa audio di quegli spazi non era proprio il top. Quindi volevamo scardinare questo discorso: non è detto che musica underground o di nicchia debba per forza significare ascoltare male e che il posto non possa essere particolarmente accogliente. Volevamo la qualità. E questa viaggia di pari passo con l’aspetto tecnico e con la scelta artistica. Ci siamo detti di fare quello che noi avremmo voluto e gradito in un posto di prima apertura e a quanto pare la risposta è stata più che positiva. L’offerta si concentra sull’elettronica ma non c’è un vincolo di genere. Siamo semplicemente molto curiosi, ascoltiamo quello che ci piace e poi cerchiamo di proporlo.
Cosa porta in più il Klang alla città?
Mi piace pensare a uno spiraglio culturale. Investire su un progetto assolutamente gratuito per tutti, mettere a disposizione la cultura per chiunque abbia voglia di venire qui ad ascoltare. Senza il vincolo della tessera o il deterrente di un biglietto o di qualsiasi altra cosa. Credo che dal punto di vista culturale questo possa risultare fondamentale.
Ecco, a proposito: nessun biglietto, nessuna tessera, nessuna lista, nessun ingresso. Riesce ad essere sostenibile una realtà del genere?
Io non voglio assolutamente lucrare sull’offerta artistica, che faccio proprio con il cuore. Per me è quasi una mission. Dall’altra parte spero semplicemente di far star bene la gente che viene a cenare e a bere e anche le persone che vengono a sentire un concerto e hanno poi piacere di restare qui consumando quello che vogliono. Anche qui è un discorso culturale: cerco di proporre cose di un certo livello e spessore senza mai scadere di qualità. Spero che tutto questo funzioni. Ma io non lucrerò mai sulla musica, per me è un’arte nobile che deve rimanere gratuita. A maggior ragione se si propongono cose più particolari. Per il momento il Klang riesce a sostenersi e spero anche possa essere di ispirazione a un sacco di altre persone. Se fossimo in tanti a proporre tutto questo è probabile che ci sarebbe una scena molto molto interessante.
Fatti un augurio per il 2019.
Di continuare così, perché per adesso non ho di che lamentarmi. Spero di fare un sacco di concerti fighi, di poter alzare un po’ di più l’asticella e di aumentare i giorni di programmazione a settimana, arrivando magari a un 7 su 7 con la musica live che diventa un’esperienza quotidiana. Magari mi auguro di potermi prendere un giorno di ferie o poter dormire 2 ore in più, questo sì!
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)