Originario di Albano Laziale ma di adozione napoletana, Antonio Mancini dipinge il suo primo capolavoro in uno studio di via San Gregorio Armeno. I napoletani dei bassifondi rimarranno sempre i suoi soggetti più cari, soprattutto i bambini, verso i quali mostra una particolare sensibilità artistica.
Fedele al Verismo italiano e, in particolare, alla corrente naturalistica napoletana, Antonio Mancini ottiene apprezzamento e riconoscimenti anche nella Parigi delle avanguardie artistiche, che contamineranno in parte il suo stile: sperimenta l’uso di materiali misti come il vetro, i nastri o la stagnola e adotta pennellate più dense e pesanti. Gli anni nel manicomio provinciale di Napoli daranno vita ai “Ritratti della Follia”, una serie di opere dedicate ai malati che hanno condiviso con Mancini la dolorosa esperienza della reclusione.
Ne “Il Riposo” convergono tutti gli elementi della pittura manciniana: gli occhi cerchiati, il viso emaciato e imperlato di sudore raccontano bene il mondo indigente che sfila sotto gli occhi dell’artista, esaltato dalla pennellata drammatica; l’espressione assente e stremata della giovane ne racconta lo stato di malattia e di emarginazione con grande intensità, senza dimenticare l’accenno alla sua giovinezza, a una sensualità stroncata dalla vita ma accennata dal seno turgido e dai lunghi capelli che ricadono sinuosi sul cuscino. (LL)
Antonio Mancini, “Il riposo”, 1887, olio su tela, 60.9 x 100 cm, Art Institute of Chicago
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