#Intervista: Busini, “Nell’ardore della nostra camera” al Di Documenti

Un fisico, dirigente in aziende tecnologiche. Ma anche un’attrice e autrice teatrale.
Donatella Busini sta per esordire sul palco del Teatro di Documenti con “Nell’ardore della nostra camera”, un monologo incentrato sulle “ipocrisie di una società ancora molto patriarcale e stereotipata“.
La storia di rinascita di una donna sottomessa al padre-padrone ma che alla fine troverà da sola la strada verso la sua libertà.
Donatella mi ha raccontato qualche dettaglio in più sullo spettacolo firmato da Massimo Sgorbani e sul suo percorso di vita, personale e artistico.
Tra i prossimi spettacoli teatrali a Roma vi consiglio quindi di non perdere questo prezioso evento culturale, da inserire nella vostra “to do list” di appuntamenti della settimana.
Mi racconti da dove nasce la storia artistica di Donatella?
La mia storia “artistica” comincia da una tardiva decisione di recuperare i sogni di bambina in un momento della mia vita in cui avevo bisogno di esplorare altre parti di me.
Sono un fisico, da anni dirigente in aziende tecnologiche nazionali e internazionali.
Ho sempre privilegiato e coltivato il mio “talento” razionale e scientifico ma a un certo punto ho sentito la necessità di indagare, esplorare altre aree di me.
E sono partita dall’infanzia, durante la quale giocavo con un telescopio ma anche con un piccolo teatro e avevo un gran desiderio di recitare.
E allora ho semplicemente cominciato a farlo.
Da quanti anni fai questo lavoro? E da allora com’è cambiato il tuo modo di intraprendere iniziative artistiche?
Faccio questo lavoro da relativamente pochi anni.
Ho iniziato con ostinazione per recuperare il tempo perduto e mi sono messa come al solito a studiare, osservare gli altri, capire.
Nel tempo, da improvvisazioni destrutturate fatte con una acting coach personale, sono passata a scrivere e con la scrittura mi si è aperto un mondo, la creatività è esplosa e anche le mie prestazioni sul palco sono migliorate.
Non credo ci sia una relazione causa-effetto tra le 2 cose.
Probabilmente ho solo aperto il mio personale vaso di Pandora.
Domanda retorica (forse): l’emergenza Covid quanto ha inciso sulla tua attività?
Paradossalmente in maniera positiva.
Ho aperto la mia casa di produzione Ipazia Production anche in Italia, ho virato verso il mondo di corti e lavorato più su aspetti di produzione e di scrittura.
Ovviamente il palco mi mancava ma ho scelto di supportare chi al contrario di me lavora solo in campo artistico, incoraggiando sempre forme di espressione libere e non stereotipate.

Dal 7 al 10 aprile sarai sul palco del Teatro Di Documenti con “Nell’ardore della nostra camera”, lo spettacolo firmato da Massimo Sgorbani. Di che cosa si tratta?
È un epicedio (un canto funebre, ndr).
Un monologo di una donna nella camera ardente di suo marito che mette in evidenza tutte le ipocrisie di una società ancora molto patriarcale e stereotipata, in cui colui che è “mancato” ne è la massima espressione.
Raccontami il tuo personaggio
La vedova che porterò in scena è una donna malata di artrite, una malattia simbolica del blocco della libertà di azione e movimento, che ha subito soprusi per tutta la vita da parte di un uomo padre-padrone.
Si è annullata per la sua famiglia e per i suoi figli, covando rancore nel tempo pur avendo piena consapevolezza della sua non azione nei confronti del suo vissuto.
Ma alla fine si libererà. Da sola.
Parlami delle iniziative che hai in mente per i prossimi mesi
Per il prossimo anno voglio dedicarmi completamente al teatro.
Ho in cartellone già 2 spettacoli miei che non solo produrrò ma di cui sarò anche parte attiva.
Mi sto organizzando per portare in giro “Nell’ardore della nostra camera” e altri 2 lavori già messi in scena a Roma che hanno fatto quest’anno una breve tournée.
Ma che voglio far conoscere a un pubblico più ampio.
Questo, adesso.
Dimmi un progetto artistico di cui vai particolarmente fiera
Senza dubbio il mio scritto “Io ed Elena“. Al momento.
È stato motivo di gran soddisfazione per premi e riconoscimenti.
C’è una cosa che un’attrice non deve mai fare e un’altra invece che va sempre fatta?
Un’attrice, un attore non devono mai perdere l’ascolto del collega sul palco.
Ciò che devono invece fare è capire profondamente il testo e il personaggio che interpretano.
Lo studio del personaggio è forse l’aspetto più importante.
Il perimetro più eccitante all’interno del quale muoversi e creare compatibilmente con le scelte registiche.
Teatri e cinema sono rimasti chiusi praticamente per tutta la durata dell’emergenza pandemica e sono stati gli ultimi luoghi culturali ad aver riaperto. La cultura è davvero “non necessaria”?
Non diciamo eresie! La cultura in tutti i suoi aspetti compreso quello scientifico sono ciò che ci rende vivi, consapevoli di quanto ci accade attorno.
La mia personale opinione è: l’assenza di politiche culturali da decenni è proprio il disegno di chi si auspica un appiattimento del pensiero, l’omologazione di opinioni.
Purtroppo l’emergenza sanitaria ha solo messo in evidenza questo aspetto, ma il problema era ben chiaro da tempo.
Mi descriveresti il lavoro artistico di Donatella Busini con un’immagine e con 3 parole?
Una lente.
Le 3 parole? Indagine, nitidezza, particolari poco visibili.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Paolo Gresta)