Libri: Charles Simic, “Avvicinati e ascolta”
“Avvicinati e ascolta” (Controcielo, edizioni Tlon, 2020) è l’ultima e attesa silloge di Charles Simic, autore di numerose opere, premiate di alcune fra le onorificenze maggiori a cui un poeta possa ambire.
È nella cesura, colmata attraverso le parole, fra realtà e immaginazione che operano i versi di Charles Simic.
Un compasso che fende l’aria, dove il punto fermo è un oggetto quotidiano o un breve frammento di contingenza: eppure il cerchio appena tracciato sfuma agilmente i suoi confini nel sogno, così come le immagini, solo in apparenza piane e accessibili.

Il libro
Una coppia di anziani intenti a strappare erbacce («Vivere nell’assoluta ignoranza/ di ciò che succede al mondo/ è il segreto gelosamente serbato/della loro felicità sempiterna»), uno stormo che gracchia al tramonto e connota prosasticamente quel breve equilibrio di luce, o una recinzione in ferro battuto con pesanti spuntoni maligni, su cui saltella con allegra noncuranza un uccellino.
Sappiamo distinguerle a colpo d’occhio, quasi le avessimo già assimilate anche solo fra i ricordi.
Eppure, quelle figure mostrano apertamente una natura tutt’altro che docile, che ci sfida a osservare ancora: un invito offerto spesso con ironia generosa e saggia.
Tutt’altro che vitalisticamente neutra, però: la sovversione dell’ordine quotidiano può provocare anche uno sgomento muto, che ci porta a immaginare quanto l’autore suggerisce attraverso il recupero della memoria più cupa.
Come per esempio accade nella poesia “Tra chi viene a visitarmi a notte fonda“: «C’è anche una mucca/ i cui occhi i soldati/ hanno cavato con un pugnale/per poi accenderle paglia sotto la coda/ in modo che corresse cieca/su un campo minato/ e da lì in poi nella mia testa/di tanto in tanto».
La poetica di Simic è un dipinto di scatole cinesi che suggerisce al lettore uno sguardo nuovo su quanto crede di conoscere, perché non ha saputo osservare con sufficiente cura.
Qui si trova l’energia propulsiva e universale dei suoi versi, oggetto di lode da parte di innumerevoli critici, più sperimentali o legati a una prospettiva conservatrice.

L’autore
Charles Simic è nato nel 1938 a Belgrado, in Serbia.
Per sfuggire agli orrori della Seconda Guerra Mondiale la sua famiglia è costretta a cambiare spesso paese in cui trovare rifugio.
Solo a sedici anni Simic è in grado di raggiungere il padre negli Stati Uniti, dove era emigrato.
Dopo il trasferimento a Chicago, l’autore comincia a frequentare le scuole superiori e ad avvicinarsi alla poesia.
La sua prima silloge (“What the Grass Says“, 1967) raccoglie ben presto il favore della critica.
Autore di 25 opere di poesia e traduzioni, ha vinto numerosi premi, fra cui il Premio Pulitzer per la poesia (1990), il Wallace Stevens Award, conferito dall’Academy of American Poetry (2007) e il Griffin International Poetry Prize (2005).
Collabora spesso con la rivista New York Review of Books, per cui scrive saggi di filosofia, arte e musica jazz.
È professore emerito alla University of New Hampshire, dove ha cominciato a insegnare nel 1973.
(© The Parallel Vision ⚭ _ Flavia Cidonio)